“C’è chi ha girato il mondo, e lo descrive come fosse un vicolo.
C’è chi conosce solo un vicolo, e lo descrive come fosse il mondo.
Il mio vicolo è l’Egitto; e l’Egitto per me è il mondo”
(Naghìb Mahfùz)
Lo disse un uomo di veneranda età, per una vita intera un viaggiare simile al moto del pendolo tra Il Cairo ed Alessandria, e il meglio del suo tempo passato nel suo caffè preferito in un vicolo del Cairo. Lui è un premio Nobel per la Letteratura e mi piace partire dalle sue parole, da quel vicolo immagine ed espressione di un mondo intero.
Effettivamente quale paese ha più diritto di rappresentare il Tutto se non l’Egitto? Cinque millenni di vita, di storia ininterrotta, di grandiosità faraonica e conoscenza dei misteri del cosmo, della divinazione, della magia, delle scienze occulte. Poi il Cristianesimo e l’Islam tollerante e aperto, lontano dai fanatismi o estremismi, quell’ islàm “abbandono attivo nelle mani di Dio”. Copti e musulmani, nubiani e arabi, un crogiolo di culture.
Oggi un paese cambiato, pacifico per inclinazione (nonostante le cronache recenti), come placido scorre il suo Nilo che da sempre gli ha permesso di prosperare. Un paese che ho avuto modo di assaggiare in due tempi della mia vita, da ragazzina e da donna, e che spero di vedere ancora in futuro. Uno di quei paesi dove un viaggio non è mai abbastanza :-).
I miei ricordi sono netti, non solo dei monumenti celebri dal Tempio di Luxor alle moschee di Al-Azhar e Ibn Tulùn al Cairo, delle antichità tra Giza e la Valle dei Re, ma anche dei quartieri più poveri del Cairo e di Alessandria, dei luoghi di vita autentica tra traffico caotico, aromi di spezie, mercati, voci e frastuono, gentilezza e umanità. E ricordi del Nilo, del patchwork di colori naturali e volti solcati dal sole, per finire nelle località di mare più turistiche del Mar Rosso, dove immergersi in una baia e incontrare da vicino coralli, tartarughe e dugonghi.
Qui qualche “corto” su episodi a me cari:
La maschera di Tutankhamon
Il primo ricordo dell’Egitto stampato nella mia mente viene dal Museo Archeologico del Cairo e non potrebbe essere che Lui, il faraone-bambino. Una adolescente (io un bel po’ di anni fa) davanti a un sarcofago in oro impressionante con le fattezze di un ragazzino che il destino avrebbe fatto diventare il più celebre dei faraoni. I suoi lineamenti giovani, un volto idealizzato, diventato un Dio. Ma l’oro e gli intarsi di pietre preziose, il lapislazzuli, l’ossidiana e i quarzi non mi colpiscono più di tanto, così come il Nemes il copricapo a strisce col diadema a forma di avvoltoio o la barba divina.
La perfezione artistica lascia spazio ad altri pensieri. Vedo un ragazzino come me, salito al trono a soli 9 anni dove rimase per altri 10 circa. In eredità un immenso regno e una situazione politico-religiosa non facile. Troppe responsabilità e una vita troppo breve. In un’altra sala del Museo mi colpisce, tra la marea di ori del suo tesoro, una testa lignea di re bambino…di un realismo toccante, che racconta bene cosa c’era dietro tutto quell’oro e tutte quelle responsabilità. Un bambino, come tutti gli altri.
L’andatura del dromedario
L’Egitto in fondo è uno scatolone di sabbia e potevo farmi mancare un classico camel-trekking nel deserto in groppa a un dromedario? Certo che no 🙂 La Valle del Nilo è un’oasi, una striscia fertile circondata da distese di sabbia e roccia…quindi ingaggiato il beduino di turno, sotto un caldo torrido, ecco pronto davanti a me la bestiola accucciata. Sono ricordi imbarazzanti. Lo guardo, Lui mastica roteando la mascella snodata, l’acqua non gli piace e si sente, diciamo. Lui è imperturbabile, in pace col suo deserto. Io meno, un po’ perplessa, gli salgo in groppa pensando sia tutto ok. E invece no, lì inizia il bello.
Il cammelliere dà un colpetto col frustino e Lui alza solo le zampe posteriori… così in un attimo ti ritrovi faccia a faccia col suo collo e catapultato in avanti, perdi l’equilibrio finché Lui decide di alzare le zampe anteriori, e vieni sbalzato all’indietro, poi di nuovo le posteriori in un continuo oscillare e movimenti oscillatori/sussultori. E’ tutto un lavoro per mantenersi in equilibrio (precario). Il deserto intorno è come lo si immagina, non delude mai, silenzioso, caldo e avvolgente.
Un passaggio in feluca
“L’Egitto è un dono del Nilo”, scriveva Erodoto (ma quanto mi han fatto penare le sue traduzioni dal greco?). Negli occhi ho ancora un velo di foschia mattutina e la nostra feluca da una sponda all’altra, un mondo immutato da secoli a parte qualche chiatta o battello moderni che lo attraversano. E la feluca, l’imbarcazione a vela nubiana, ti permette di entrare in contatto con sua maestà il Fiume e la sua vita. Vita fatta di palme da datteri sulla riva e contadini nelle piantagioni che intrecciano le fibre per farne cesti in cui riporre il raccolto, fatta di campi di grano modellati dal vento del deserto mentre una donna, distratta dal nostro arrivo, interrompe la mietitura e ci saluta con un sorriso.
Ragazzi e uomini di ogni età cavalcano ancora gli asini e sollevano polvere, trasportando al villaggio i papiri. Ogni buon raccolto dipende dalla generosità del Nilo. E gli operai al lavoro, che oggi come ieri impastano i mattoni utilizzando il fango prodotto dal fiume. Stridono, vicino ai carretti tirati dai muli e ai cantieri rudimentali coi cavatori protetti solo dal turbante e dalla veste azzurra, le tante motociclette o i pullmann di turisti.
Luxor, Karnak e Valle dei Re
Mi sento piccolissima, guardo in alto e sono ai piedi di una delle immense colonne del tempio di Karnak, vicino Luxor. Il solo pensiero che quest’opera titanica richiese 2.000 anni di lavoro…ma quante persone servono per abbracciarla tutta questa sola colonna? Un egittologo cerca di spiegarci i geroglifici, migliaia di testi incisi sulla pietra, un tesoro narrativo scolpito.
Ma è nella Valle dei Re che puoi capire cosa significa davvero la professione di archeologo. Bagaglio scientifico, acume da detective, visionario ottimismo e caparbietà. E qui gli inglesi hanno battuto tutti, anche se nei secoli si sono dati da fare in tanti, Napoleone compreso 🙂 Sono nella signora delle Necropoli, temperature da svenimento, il marito leggermente claustrofobico mi abbandona al mio destino. Lunghi cunicoli e tante scale per raggiungere le camere funerarie nel ventre della valle, così come succede alle piramidi di Giza. Gli dei sono ovunque, in forme antropomorfe, astratte e animalesche: occhi, serpenti, geometrie simboliche, astri, sfingi, gatti, alberi. Venite qui e aprite gli occhi, e godetevi il cuore di questa cività.
Faccia a faccia col dugongo
Ultimo ricordo (ma in Egitto ce ne sarebbero troppi!!!): una costa secca e pietrosa, baia di Abu Dabbab non lontano da Marsa Alam, sento dire che è frequentata dai dugonghi. E allora perché accontentarsi della “solita” barriera corallina, dei pesci angelo, pappagallo, pagliaccio, napoleone, farfalla, anemoni e compagnia bella? Basta una maschera, un paio di pinne, saper nuotare e una buona dose di pazienza. Me ne sto a mollo un pomeriggio, incontrando al largo solo qualche tartarugone ma alla fine capisco il trucco. Tengo monitorati gli altri nuotatori della baia, quando noto un gruppetto in qualche punto c’è di sicuro qualche “simpatico ospite”. E infatti, eccolo, quello che cercavo. Il dugongo non era una leggenda, esisteva davvero 😀 ravanava sempre sul fondo marino con una specie di buffa proboscide, 3 metri di mammifero buono come il pane. Anche questa una chicca tutta egiziana.
Che bella immagine che dai dell’Egitto… spero di riuscire a visitarlo al più presto, mi affascina tantissimo!
Grazie, l’intenzione era positiva 🙂 felice che sia passata