I più strani musei d’Islanda

Viaggiando in Islanda resti sorpreso di quanto il territorio sia disabitato al di fuori dei centri maggiori. Vedi fattorie isolate, distanti a volte decine di chilometri una dall’altra. Viene naturale chiedersi i come gli abitanti impieghino il loro tempo, che contatti abbiano con il “resto del mondo”, come facciano a sopravvivere all’isolamento, alla solitudine, ai mesi invernali quando il sole transita sopra l’orizzonte solo per qualche ora al giorno. Per trovare la risposta abbiamo la fortuna di conoscere una coppia islandese, che stupita chiede a noi “ma cos’è che attira voi turisti in Islanda?” (e noi ridiamo come se se di fronte al Colosseo un romano chiedesse al turista di passaggio: “ma cosa ti piace di Roma?) e ci racconta come vivono le persone a queste latitudini.

Gli islandesi hanno una spiritualità, una dimestichezza con la natura, una capacità di “bastare a se stessi” che forse ormai noi ci siamo dimenticati. Hanno meno bisogno del contatto quotidiano con altri. Ci parlano della presenza in questi piccolissimi centri di designer, scrittori, pittori, musicisti, persone che collezionano minerali, erbe, sassi, oggetti di ogni tipo, uomini e donne che traducono libri, studiano testi antichi, che si dedicano al teatro, al canto e alla cultura con passione, nonostante l’isolamento. Alcuni di questi islandesi sono diventati famosi e le loro abitazioni sono state poi trasformate in musei. Si tratta di esposizioni di tutto rispetto, allestite da persone che vivevano in mezzo al nulla e per tutta la vita hanno catalogato oggetti in solitudine per il solo piacere di farlo.

Se pensate che in Islanda ci siano solo ghiacciai, fiordi e vulcani….niente di più sbagliato 🙂 Forse noi abituati a visitare in Europa gli Uffizi, il Louvre a Parigi, il Museo del Prado a Madrid o il Pergamonmuseum di Berlino, facciamo a fatica a immaginarci un museo diverso dal solito. In Islanda no, loro lo sanno benissimo! Partendo da Reykjavík, girando prima il Ring 1 e poi i fiordi dell’Ovest, mi sono imbattuta in una serie di musei diversissimi e con questo post mi piace ricordarne alcuno. Per dirvi che oltre la natura, si possono fare parecchi incontri “strani”.

Museo della magia e Stregoneria di Holmavik (Westfjords)

Se cercate una chicca islandese e volete addentrarvi in riti, magie, stregonerie, di cui è intriso il folklore e la cultura popolare islandese, allora il piccolo Strandagaldur – Museum of Icelandic Sorcery and Witchcraft (Museo della Stregoneria Islandese), vicino al porto di Hólmavík, è quello che fa per voi 🙂 La prima cosa che salta all’occhio è che in Islanda quasi tutti condannati per stregoneria furono uomini. Era il XVII secolo, nelle assemblee giudiziarie era il diavolo ad intromettersi nella vita degli uomini,  le attività legate alle arti magiche e alla stregoneria erano punite. Lo stemma di Strandir era un simbolo magico di questa regione, i cacciatori di streghe e stregoni locali, un grimorio (libro di magia) tenuto nascosto e pieno di enigmatiche rune costituiva una prova sufficiente per mandare al rogo parecchie persone.

 

Pantaloni del morto_Holmavik

 

Tra i tanti reperti bizzarri, di sicuro il più inquietante sono i nábrókar (pantaloni del morto) fatti di pelle umana (gambe e inguine)…li guardi e maròòòò non è che vuoi crederci, eppure si pensava che una volta indossati portassero una ricchezza incalcolabile, eheh, bastava infilare la mano indovinate un po’? nello scroto e voilà, il denaro era assicurato. Ovviamente il donatore doveva essere consenziente e il cadavere trafugato nella notte. Mettici poi altre chicche: il verme peloso, l’evocazione delle tempeste con una testa di linarda, lo scheletro del primo uomo messo al rogo in Islanda, le saghe sul risveglio dei morti, le pratiche magiche femminili, gli alberi genealogici, i vecchi manoscritti pieni di segni e simboli magici, con riferimenti medievali alle antiche divinità nordiche come Thor e Odino. Immaginarsi queste terre nel Seicento brrrrrr, mette i brividi (e non solo per il freddo) 🙁

 

Museo dello squalo putrefatto a Bjarnarhöfn (Snaefellness)

Ve lo dico, questo è solo per stomaci forti! Lo squalo putrefatto è un vero, agghiacciante piatto della cucina islandese, che in lingua locale prende il nome di Hakarl. Come si prepara? La carne di squalo viene sotterrata  da tre a sei mesi, fino a quando non è putrefatta al punto giusto: alla fine del processo diventa gommosa, completamente marcia e “profuma” d’ammoniaca. Sarà per questo che tale prelibatezza viene accompagnata da abbondante brennivín, l’acquavite islandese, una specie di bomba alcolica utilissima per superare l’odore poco piacevole.

In Islanda l’Hakarl è una vera prelibatezza gastronomica, con un caratteristico odore di ammoniaca ed un gusto simile al formaggio stagionato (ma parecchio forte), così intenso che molti islandesi si rifiutano di mangiarlo 🙂 La carne fresca dello squalo è velenosa, a causa dell’ alto contenuto di acido urico, pare che gli squali non abbiano reni ed espellano le urine direttamente dal corpo. Le carni possono essere però degustata e consumate dopo un lungo e peculiare processo di fermentazione. Auguri, noi non ce l’abbiamo fatta e siamo scappati: ma se volete provare questa ebbrezza recatevi al Bjarnarhöfn Shark Museum.

 

Squalo putrefatto_Islanda

Museo Reykjavík 871 +/- 2 (Reykjavík)

Beh il nome è criptico, ma è un altro piccolo museo interattivo, basato sulla tecnologia e fatto benissimo, sull’insediamento vichingo in Islanda. Il  Reykjavík 871 +/-2 ti spiega con video, ologrammi, proiezioni tridimensionali e pannelli touchscreen, come sono nati e come si sono sviluppati i primi insediamenti umani in Islanda ripercorrendone la storia, gli usi e i costumi attraverso i ritrovamenti archeologici. Il focus del percorso sono proprio i resti di una di una delle prime case dell’Islanda della Settlement Age, ricoperta come tetto da un tappeto erboso.

 

Museo 871

 

Un tavolo multimediale ne riproduce un modello in scala: toccando i vari punti (paglia, legna, etc) apparirà una spiegazione relativa al materiale: dove veniva raccolto e come poteva essere impiegato oltre ai tipi di lavori svolti. Da segnalare anche la sezione ludica di giochi dedicata ai bambini: proviamo il Memory game dove bisogna abbinare i reperti conservati all’interno del Museo, ma c’è il Quiz con domande a risposta multipla sulla vita dei primi coloni e dei vichinghi o Paper dolls per scoprire gli abiti che utilizzavano gli uomini dei primi insediamenti vestendo due bamboline appartenenti a diversi periodi storici, mentre grazie a Longhouse si può scoprire com’erano costruite le case, posizionando in ordine, sullo schermo, gli elementi della struttura. Molto family-friendly.

 

Museo Fallologico, Reykjavík

Finiamo in bellezza col museo originale più famoso di tutti 🙂 A Sigurdur Hjartarson, professore islandese, il pallino per il collezionismo è nato dopo aver ricevuto in regalo un grande pene di toro (dicunt): “Un bel giorno i miei zii mi hanno regalato un frustino fabbricato con il membro di un toro. Quando mi trasferii nella cittadina costiera di Akranes, i miei amici iniziarono a prendermi in giro portandomi peni di balene.  Allora decisi che dovevo fare qualcosa con il mio campionario“. Niente di meglio di un museo fallologico per ammazzare il tempo, l’ Icelandic Phallological Museum è nato così e oggi attira oltre 11.000 visitatori l’anno, l’unico museo al mondo a ospitare campioni fallologici di tutte le specie presenti in un singolo Paese.

Una collezione di circa 250 peni e parti di pene, appartenenti a pressoché tutti i mammiferi marini e terrestri presenti in Islanda. E non manca quello di un uomo, provare per credere. Tra questi si contano 55 campioni appartenenti a 16 diverse specie di cetacei, un campione estratto da un orso polare e 36 pezzi provenienti da 7 specie di foche e trichechi. Non mancano, ovviamente, opere d’arte e utensili che rendono omaggio al tema del museo 🙂 Anche questa è scienza!!!

 

Fallological Museum_Iceland

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