Viaggiando con mia figlia in Islanda penso che ogni bambino, ancora prima di nascere, sia passato per forza di qui. Perché? Perché ci sono le montagne veramente a punta, le nuvolette a pecorelle, il sole nell’angolo del foglio (se non piove eh!), i colori accesi delle matite colorate, proprio come nei disegni di qualsiasi bambino. E poi ci sono le chiesette minuscole col tetto rosso, i grandi prati verdi e le antiche abitazioni che somigliano alle case degli Hobbit. Pensate che io scherzi? Allora oggi vi porto a Glaumbær, nel nord dell’Islanda, dove un’antica fattoria in torba abitata fino al 1930 è diventata oggi un museo di cultura popolare. E vedrete che è proprio come vi ho raccontato.
Seguiamo la strada n. 75 a nord di Varmahlíð, una piccola deviazione di 8 km dalla Hringvegur e arriviamo al museo della fattoria in torba (interi/bambini Ikr900/gratuito; 9-18 giu-metà set), risalente al XVIII secolo; è il miglior museo del suo genere in tutta l’Islanda settentrionale e merita sicuramente una visita. Perché permette di capire come si viveva qui duecento anni fa, come erano costruite queste case nella terra, quali materiali avevano a disposizione, come era organizzata la vita quotidiana, scoprendo una vita durissima che non c’è più. Chissà com’era passare i lunghi inverni polari qui dentro, leggendo le saghe islandesi!!
Il sito è piccolino, si tratta in tutto di 12 case in torba seminterrate, costruite con mura di zolle quadrate e nastri d’erba e collegate tra loro da un corridoio interno lungo 20 m. Gli ambienti erano senza riscaldamento. Ci abitavano circa 25 persone e si può immaginare come la vita in comune in uno spazio così ristretto fosse abbastanza complicata. La base delle case era in pietra, poi un telaio in legno veniva ricoperto da strati di torba: tetti verdi, materiali locali e grandi proprietà di isolamento termico sono le prime caratteristiche che saltano all’occhio, del resto queste case sono il risultato di un processo di adattamento secolare a un clima a dir poco inospitale.
Costruire con rocce, torba ed erba era la soluzione più semplice e funzionale a questa latitudine. Le uniche stanze rivestite internamente in legno sono le due abitate dalla famiglia e le due riservate agli ospiti. Per il resto la torba regna sovrana ovunque, rendendo gli ambienti un po’ umidi e odorosi di muschio. Per evitare che il freddo penetrasse nei locali interni, il corridoio centrale era provvisto di due porte in modo da creare un’intercapedine contro il freddo. Alle pareti del corridoio vediamo fissate lampade funzionanti con olio di balena, che venivano accese solo nelle grandi occasioni. Vediamo in particolare com’erano fatti i diversi ambienti.
La masseria
La masseria lunga era la dispensa principale della fattoria, dove la massaia distribuiva il cibo. Ogni membro della famiglia aveva una scodella per mangiare, scodelle e tazze venivano consegnate ai rispettivi proprietari che consumavano il pasto seduti nel soggiorno, direttamente dalla scodella posta sulle ginocchia. E poi la masseria piccola dove si lavorava il latte: una volta munto, veniva versato in vari recipienti e lasciato fermentare per un giorno e mezzo, finchè non formava uno strato di panna. La panna veniva tolta ed utilizzata nella zangola per produrre burro, mentre parte del latte scremato veniva trasformata in skyr, il tipico alimento islandese simile a yogurt.
La cucina
La cucina è la parte più antica della fattoria e risale al 1750. Qui si preparavano i cibi e si affumicavano gli alimenti utilizzando torba. Una volta pronti i pasti, essi venivano portati nella dispensa e ripartiti dalla massaia. Negli ultimi tempi, la cucina perse il suo uso e fu trasformata in lavanderia… sono esposti ora utensili dell’epoca di vario tipo, mi incuriosisce una collezione di mascelle di pecora, unico regalo dei mariti alle consorti in occasione del Natale (romanticoni!).
Il soggiorno
Il soggiorno era contemporaneamente sala da pranzo, sala soggiorno, bottega e dormitorio per tutta la famiglia, luogo in cui si cardava, si filava, si faceva la maglia, si tesseva e si cuciva. Ognuno sedeva sul proprio letto, in 5 file di letti in legno, delle assi di legno intagliate, poste accanto allo schienale, fungevano da tavolo all’ora dei pasti, trasformando il letto in mensa. Durante le lunghe notti invernali un membro della famiglia, al lume di minuscole lampade ad olio, leggeva racconti o recitava poesie. Quando arrivava il momento di dormire, le persone si toglievano i soprabiti, e rimanendo vestiti, si infilavano sotto le coperte di lana e il caldo piumino di produzione locale.
La gusa
La chiamavano gusa (lo spruzzo) ed era una stanza particolare, che veniva usata come camera da letto, studio o abitazione. Il nome deriva da un’antica leggenda: si dice che avesse abitato in questa stanza una vecchia stizzosa, la quale, quando era di cattivo umore, apriva la porta e lanciava il contenuto del suo pitale sui bambini che correvano in corridoio. Leggenda a parte, durante i lunghi inverni il sacerdote del luogo era solito utilizzare questo spazio per insegnare ai bambini la lettura e la scrittura.
Gli edifici annessi
Altri quattro edifici vicini sono riservati ai lavori più pesanti, agli attrezzi e all’officina e alle stalle. Ci spiegano che tutte le fattorie erano dotate di una propria officina, necessaria per affilare le falci, riparare gli attrezzi, forgiare ferri da cavallo, e quanto serviva alla vita quotidiana. I servizi igienici erano all’aperto. L’igiene personale era scarsina, ci si lavava dicono 1 o 2 volte l’anno, e tutto veniva riutilizzato, persino feci e urina erano conservate da utilizzare come combustibile o per lavare gli indumenti.
E se ancora oggi è possibile ammirare questa antica fattoria che testimonia come si viveva un tempo in Islanda, lo si deve a un uomo, il filantropo inglese Mark Watson che alla fine degli anni Trenta donò del denaro per permettere lavori di conservazione dell’edificio. In effetti, un po’ per tutte le campagne islandesi è facile imbattersi in quelle che mia figlia chiama le “case degli Hobbit”, capita di vederle nella loro forma originaria, qualcuna abbandonata, altre ancora in uso. Ma qui a Glaumbaer, dichiarato patrimonio culturale nel 1947, troverete un angolo di passato intatto ed entrando dalle strette porticine verrete subito catapultati indietro nel tempo, negli usi e costumi della vita in questi luoghi così remoti e solitari. 🙂 Inutile dirlo…un certo effetto lo fa!