Il grande ulivo del Cilento

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Giorni fa sono dovuta correre insieme ai parenti, al paese natale di mio padre. Un piccolo paese, nell’entroterra cilentano, arroccato a mezzacosta sulle alture dietro Palinuro. Entrare nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano è come entrare in un grande uliveto, ulivi secolari dalle fronde rigogliose e ulivi giovani di nuovo impianto, in un paesaggio vellutato verdissimo che sembra rimasto intatto fin da tempi remoti.

La strada tortuosa scoraggia l’accesso superato Vallo della Lucania, ma questa terra contadina nonostante la semplicità dei suoi paesi, gli scempi e le speculazioni edilizie che troppo spesso sono stati compiuti soprattutto sulla costa, conserva tradizioni e “cultura materiale”, il legame delle persone con i propri luoghi di vita e di lavoro.

L’occasione per cui ritorno al paese dopo tanti anni di assenza non è delle migliori, è mancata l’ultima sorella di mio padre, che in questo piccolo paese montano ha svolto la sua intera vita e che ha portato avanti la casa di famiglia dove erano vissuti i nonni paterni. Il suo funerale, di prima mattina, è un piccolo condensato dell’affetto tributato dal paese alla sua compaesana. Voglio raccontarlo perché mi ha profondamente colpito e commosso, ed è una dimensione ormai estranea alle nostre città e ai nostri riti di passaggio dalla vita alla morte, spesso limitati alle condoglianze di rito e al disbrigo delle pratiche burocratiche.

Sono le 9 di mattina e la chiesa SS. Annunziata è gremita, il parroco conosce uno per uno i suoi compaesani e conosceva bene anche la zia, la racconta per la sua simpatia e la sua apparente scontrosità, e la messa è partecipata da tutti, una messa sentita. All’uscita, i parenti dietro il feretro e a seguire tutto il paese si incammina a piedi per accompagnare la zia, dalla chiesa nella piazza principale al cimitero del paese (1.5 km), dove si trovano tutte le cappelle di famiglia e ognuno viene seppellito insieme ai suoi cari. Tutti salutano e accarezzano quel legno per un ultimo abbraccio e lo senti, eccome se lo senti, che non sei solo.

L’usanza del paese vuole poi che i parenti, sistemata la cappella, vadano davanti al municipio per le condoglianze. Bisogna mettersi schierati in fila indiana, e tutto il paese, silenzioso, uno dopo l’altro, viene a farti le condoglianze per esprimerti il suo dispiacere e la sua partecipazione. Poi si sta insieme a chiacchierare della zia, di come era bella, delle sue abitudini, del paese, dell’infanzia quando venivamo d’estate per andare al mare, di quanto tempo era che non venivo, e un crocchio di anziane signore mi apre la mente sui ricordi.

Mi piace ricordarla così, quella zia che forse nessuno di noi si era mai sforzato di capire e di aiutare abbastanza,  mi piace ricordare i sorrisi quando arrivavamo a trovarla, le estati torride a portarci i panini e l’ombrellone sulle spiagge di Palinuro dove 30 anni fa c’era ben poco, i suoi cavatelli co’ pummarola fatti rigorosamente in casa, le volte che da bambina mi chiedeva di mettermi in piedi per vedere se le gambe erano dritte, e i fichi meravigliosi che tiravamo giù insieme dal grande albero in mezzo al suo orto. Buon viaggio, Ida.

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