Sulle piste berbere della Tunisia

Dico Tunisia e voi viaggiatori storcete il naso? avete in mente un turismo mordi e fuggi? la sagra dei villaggi mai all’altezza e dei pacchetti all-inclusive a Djerba? gli autobus pieni di turisti dei 5 minuti che arrivano in un bel posto, scendono, giro d’ordinanza tra i negozi di souvenir, scattano 4 foto al volo e via ripartono per la prossima meta perchè il tempo che hanno a disposizione per veder tutto è poco? Ok, tasto RESET. La Tunisia è altro.

L’ho capito qualche anno fa, quando in compagnia di un amico appassionatissimo di Africa, di outdoor e di fuoristrada siamo partiti caricando la sua LandRover, attrezzata di tutto punto per il deserto, sul traghetto Genova-Tunisi e ci siamo girati per bene questo paese da nord a sud. E’ così che ogni luogo comune è stato sfatato e ho avuto la percezione di cosa offra realmente questo paese. Una Tunisia varia, sfaccettata, ricca di alternative.

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Una Tunisia dove puoi perderti nelle medine e lasciarti investire dai loro colori e odori di spezie, pepe e zafferano mescolati a gelsomino e tè verde. Una Tunisia dove godere della solitudine e degli insegnamenti del deserto. Una Tunisia dove tornare indietro nel tempo nei villaggi berberi e nelle zone più impervie. Dove l’aroma di menta si gusta a piccoli sorsi, dove puoi assaggiare i grappoli di datteri zuccherosi, dove l’alba è fredda (d’altronde io ci sono stata in Gennaio), il tè bollente ed il pane appena cotto sotto la sabbia. Da girare on e soprattutto off-road 🙂

Ed è nel Sud della Tunisia, che vorrei portarvi oggi: da Tozeur a Tatauoine passando per Douz, porta d’ingresso al Sahara,  Ksar Ghilane, le oasi di montagna e la distesa salina Chott-el-Jerid. Qui la sabbia prima contrasta col verde e piano piano prende il sopravvento, mi accorgo che è parte quotidiana della vita, che il mondo occidentale si fa più lontano e bisogna abituarcisi. Più scendi e più le case sono fatte d’argilla e incomplete, le viuzze sono strette, le musciarabie e le finestre danno all’interno, sui cortili. L’intimità delle case è sacra e il canto del muezzin dai minareti bianchi circonda tutto.

Tozeur e lo Chott El Jerid

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Tozeur è  la sentinella, la linea di confine tra il mare di palme a nord e il mare di sale che la madre natura ha creato a sud. Mi piacciono la sua quiete antica, i mercati che sembrano un compendio di vita tunisina e le sue case di mattoni crudi che disegnano geometrie a bassorilievo. Un garbuglio di souk coloratissimi, dove tutto si vende, dalle spezie alle tele, dai tappeti di buona fattura alle anfore di terracotta. E dove la vita acquista i suoni. Colpisce la “spensieratezza” (eufemismo) con cui i tunisini conducono i propri mezzi sull’asfalto. Sciami di motorini su cui viaggiano fino a tre persone misti ad asini e cammelli che sembrano cartoline da altre latitudini e altri tempi, pedoni incuranti del traffico. Un equilibrio tutto africano.

Lasciata Tozeur il paesaggio diventa bianco e piatto interrotto solo da pozze d’acqua dalle sfumature rosa, verde pastello, azzurro. Chott El-Jerid, un paesaggio lunare, una distesa formata da cristalli di sale. La depressione diventa laguna nella stagione delle piogge e ogni tanto regala miraggi. Un altro tipo di deserto dove far perdere le proprie tracce, dimenticarsi del tempo. Meglio un’ immagine di ogni mia parola, di sicuro rende meglio l’idea.

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Le Oasi di montagna Chebika e Tamerza

Tunisia Tamerza

Le piste diventano sempre più dissestate e hanno fondo irregolare, accettabile in alcuni tratti, pessimo in altri. 70 km di faticoso percorso fino al confine con l’ Algeria. Domina l’ocra delle zone desertiche. Tamerza la si scopre un po’ alla volta, camminando tra le rocce (occhio alle scarpe comode), merita del tempo per essere gustata. Un canyon, una ferita nel suolo lunga tre km e mezzo e il suo palmeto. E’ il contrasto tra lo smeraldo degli alberi (mica solo palme, aranci, limoni, fichi e melograni) e la terra ocra e asciutta. E sotto il fiume che scorre e la vecchia città di fango abbandonata.

A Chebika invece si va a vedere le sorgenti, si procede in fila indiana sui sassi, assaggiamo dei datteri freschi, non è ancora stagione ma qualcuno è già maturo. E’ come entrare in un giardino esotico, qualcuno si lancia nel laghetto, chi approfitta dell’idromassaggio naturale, la luce filtra attraverso le grandi chiome e noi semplicemente ci rinfreschiamo sotto. Dei ragazzini passano alle cascate la giornata giocando, ci dicono che qui solo uno ha il lavoro, c’è solo da raccogliere i datteri quando è stagione.

Tunisia Chebika

Douz

Douz è’ l’ultimo avamposto, la “porta del deserto”, ed è qui che cerchiamo una jeep collaudata con una guida locale, perché oltre non si va da soli, le piste del deserto vanno affrontate insieme a chi le conosce e a un’altra vettura che in caso di necessità può tirarti fuori dai guai. E Arafez è esattamente quello che ci serve 🙂 Douz è la sua piazza colorata, gli scambi commerciali, i sandali di pelle e i tappeti appesi ai muri, un misto di profumi orientali e contrattazioni fino allo sfinimento. Qui il mondo civile finisce, inizia l’ignoto. La terra della sabbia, dei Touareg e del silenzio. Qui inizia il bello!

L’Oasi di Ksar Ghilane

Preparatevi all’effetto centrifuga impazzita. Il fondo della pista è duro ma sembra fatto di tantissime mini-dune di pochi cm. All’inizio ridi, dopo 100 km un po’ meno. Alla fine l’Oasi di Ksar Ghilane si materializza come un vero miraggio (diciamolo, non se ne poteva più). Arrivando vedo una carovana di dromedari, con la loro andatura lenta, dondolante, sicura e non so perché ho l’impressione che i pastori berberi ci guardino con un filo di commiserazione…noi e la nostra inadeguata tecnologia nel deserto 🙂

Qui il campo tendato è un vero accampamento, enormi tende disposte a circolo, purtroppo l’arrivo dei turisti (troppi) ha fatto comparire dentro letti, salottini e bagni e ultimamente ho letto pure condizionatori!!! Però la location ha il suo fascino e trascorrere una notte nel deserto ha il suo perchè. Palmeto in mezzo alle dune, fortino abbandonato della legione straniera, piscina termale dove tuffarsi e gongolare dopo una giornata in cui la sabbia ti si è infilata dappertutto. E poi all’imbrunire un incredibile cielo stellato, così come solo il deserto ti sa regalare.

Tunisia Ksar Ghilane

Douiret e Chènini

Il viaggio prosegue in direzione degli Ksur, villaggi fortificati ormai dimenticati che servivano da rifugio ai berberi dagli attacchi dei nomadi. Tutto è scavato nelle pareti della montagna, il colore è quello della sabbia bianca del Sahara effetto monochrome e oggi è quasi tutto abbandonato, a parte alcune grotte restaurate per ospitare turisti. L’impatto è forte, i villaggi sono costruiti lungo il crinale di una collina, su una serie di terrazze, le piccole case di una o due stanze.

Entriamo nelle ghorfas, i granai fortificati in pietra e argilla col tetto a volta che servivano da riserva per il grano e da abitazioni rifugio, le travi sono di olivo e la porta ricavata da tavoloni di palma. Mi vengono in mente i nostri tantissimi borghi italiani dell’entroterra, scomodi, solitari, diffusi e abbandonati a sé stessi, ma pieni di potenzialità.

Tataouine, Ksar Hedada, Matmata

Tunisia Ksar Hadada

E poi le ultime tappe obbligate di questo paesaggio arido, inospitale, fatto di crateri e crepacci, con un clima torrido e d’estate quasi insopportabile tanto da costringere i trogloditi di un tempo a scavare le abitazioni sottoterra. Era il 77 e George Lucas sceglie Matmata, questo piccolo villaggio berbero, per girare alcune scene di Guerre Stellari… sarà stato un bene? Mah! Di sicuro è un’architettura unica al mondo, ogni cratere un’abitazione, un corridoio circolare scavato dentro e collegato alle case/caverne, scavate pure quelle. E ahimè ora non c’è tour che non passi di qui L

Sinceramente ho preferito le case troglodite vicino Tatauoine e Ksar Hedada, meno battute, meno venditori di souvenir che insistono per farti comprare la loro merce, ho il tempo di guardarmele, di pensare, di incontrare le donne del villaggio che fanno la tessitura tradizionale in casa, e i bambini di un pastore che mi mettono in braccio la loro capretta appena nata. E me ne vado con un’altra sensazione addosso.

E infine lui, il deserto

Da piccola, quando mi capitava un mappamondo tra le mani, il dito e la curiosità andavano spesso lì, sul Sahara. Il padre dei deserti.
Al mattino allora uscivo dalla mia tenda e, poco prima dell’alba, quando gli altri ancora dormivano nelle loro tende, mi allontanavo in mezzo alle dune per osservare il sorgere del sole e riuscire ad ascoltare il silenzio.

Privilegio raro, questo.

Il deserto non si racconta, si vive 

Mano Dayak

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ps. a breve metterò una gallery a tema sul deserto tunisino, stay tuned!!!

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