Alzi la mano chi non è mai stato affascinato da quell’universo geografico e di pensiero che è il Tibet? dalla storia, dalla religione, dall’arte, dalla semplice vita quotidiana del Tibet così intrisa di spiritualità. Io non ho ancora avuto la fortuna di andarci, penso che ogni viaggio arrivi nel momento in cui siamo pronti per farlo, e forse non lo sono ancora… però lo scorso weekend non mi sono lasciata sfuggire un’occasione unica, proprio qui a Treviso vicino a dove viviamo da qualche mese. La più grande mostra sul Tibet organizzata in Occidente.
“Capire significa avere il terzo occhio, andare oltre a ciò che è visibile”.
E’ importante vivere la mostra Tibet con l’anima, perché “capire a volte è meglio di vedere”. Queste sono le parole di Adriano Màdaro, curatore della Mostra dell’anno “Tibet. Tesori dal Tetto del Mondo”. Saper andare in profondità nell’anima del popolo delle nevi, cercando di non utilizzare solo la vista ma anche l’intelligenza, il nostro “terzo occhio”. Vedere oltre è la soluzione per poter immergersi completamente in una straordinaria esposizione che ti fa compiere un viaggio completo in Tibet.
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In un centro storico allagato da un vero diluvio raggiungiamo Ca’ dei Carraresi (che già da sola vale una visita). Ma il disagio viene ripagato. Oltre 300 preziosi reperti tra oggetti sacri, statue, monili, strumenti musicali, dipinti, documenti, databili dal XIV secolo ai giorni nostri. Reperti custoditi in 26 casse per un peso di 5 tonnellate, che hanno volato da Pechino per 12 mila chilometri. E non deve essere stato per nulla facile.
Arrivano dai templi buddisti dell’altopiano del Tibet, dal maestoso Palazzo del Potala di Lhasa, dalle collezioni imperiali e da diversi musei, preziosi doni che il Dalai Lama fece agli imperatori della Cina, dalla Città Proibita, l’antica ed immensa residenza delle dinastie Ming e Qing, e dall’Istituto delle Minoranze Nazionali Etniche di Pechino.
L’esposizione si apre con due grandi colonne girevoli di bandierine di seta, una porta ideale che introduce un allestimento giocato su immagini-pannelli che riproducono i paesaggi, le costruzioni e i templi per avvicinarsi e comprendere meglio il “Paese delle nevi”. Il tutto basato su colori guida che caratterizzano il Tibet: il marrone della terra, il giallo ocra e il rosso cinabro delle vesti dei monaci e il blu del cielo.
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La prima sezione è dedicata alle divinità del buddhismo tibetano, e non poteva essere altrimenti visto che il curatore parla di “una quotidianità fatta di spirito”. Sono le divinità del pantheon, il principe Siddharta ma anche divinità induiste, con una molteplicità di braccia e volti, e i “bodhisattva”, spiriti guida a cui i tibetani sono molto devoti.
Alcuni oggetti sono espressione delle pratiche tantriche, come due calotte craniche rivestite d’oro, e un paio di tibie a forma di tromba. Sono oggetti divinatori ricavati da ossa umane che derivano dalla religione sciamanica, molto diffusa in Tibet prima del Buddismo. Capisco che il buddhismo tibetano è un mix di buddhismo storico, in parte di induismo e sciamanesimo.
Ma la sezione per me più entusiasmante è senza dubbio la seconda, quella dedicata ai Thangka. Nella lingua tibetana Thangka deriva da “ka” che identifica dipinto e “than” che significa piano. Sono delle pitture religiose su superficie piana, realizzate su tela di cotone con tarsie di seta che raffigurano scene inerenti la religione buddista, esibite al pubblico solo in occasione di grandi cerimonie. Ogni monastero aveva scuole d’arte con monaci-artisti che completavano l’opera dipingendo gli occhi durante “l’apertura degli occhi“, una apposita cerimonia che termina con la consacrazione della pittura. Qui potrete vederle da vicino, nella loro finezza e soprattutto nella loro ricchezza cromatica, un’esplosione di colori vivacissimi e intensi.
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Troverete gli impressionanti tromboni rituali “Dung Chen”, tipici strumenti musicali delle grandi cerimonie dai suoni cupi, le più comuni formelle pietre-mani, formate dall’argilla impressa da stampini, e poi libri di preghiere e stampi di matrici usate nei monasteri, che nei secoli sono stati piccoli centri per la stampa e la divulgazione di testi. In mostra anche lampade votive, strumenti musicali, portavivande, reliquiari, tappeti antichi e tanto altro.
Un’ampia sala è dedicata alla vita del popolo, ai costumi, alle sue folcloristiche tradizioni, ai vestiti etnici usati nella prima metà del secolo scorso fino al 1959, anno in cui la Cina occupò il Tibet. Abiti, ornamenti, oggetti di uso quotidiano che raccontano la vita dei pastori, rari gioielli e pesanti ornamenti per capigliature…questa è sicuramente la parte che mia figlia cinquenne ha apprezzato di più 🙂
Si prosegue con le maschere ’cham’ in rame, argento, cartapesta, che servivano durante gli esorcismi a coprire il volto dei sacerdoti che cadevano in trance; oggi usate nei riti di purificazione, per scacciare i demoni. E ancora le maschere ’lhamo’, per il teatro ’laico’, che rappresentano storie riferite all’antica letteratura.
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In una sala si può leggere per sommi capi la storia del Tibet dal 600 fino al 2011… questo forse il punto più delicato, considerando che in esposizione c’è un editto imperiale Ming del 1461, scritto nelle lingue cinese e tibetana, che ribadisce l’autorità dell’impero cinese sul Tibet. Diverse polemiche sono sorte proprio sul fatto che la mostra tace sulla tragedia contemporanea dell’occupazione cinese e sulle sue modalità. Riporto qui uno stralcio di un articolo uscito su La Tribuna di Treviso:
“la mostra non fa vedere: le auto immolazioni dei giovani monaci contro l’invasione cinese, la dura repressione delle pacifiche manifestazioni di protesta, le sessioni “ri-educazione patriottica” all’interno dei monasteri. L’apertura di venerdì è stata accompagnata da un’azione di protesta dell’associazione Tibet-Italia che contestano la natura della mostra, che racconta solo la versione cinese della storia tibetana (la figura del Dalai Lama emergerebbe come figura secondaria) , asserendo che «l’ultima settimana 60 bonzi si sono dati fuoco per protesta». Fonte: La Tribuna di Treviso, 20 ottobre 2012
Però questa è una mostra incentrata sull’arte tibetana in tutti i suoi aspetti e credo vada profondamente rispettato il risultato di un lavoro di ricerca durato due anni del curatore Adriano Màdaro, che lo ha portato nelle città tibetane di Lhasa, Shigatze e Gyantze, nel museo delle Nazionalità di Pechino fino nella Città Proibita, tra le collezioni imperiali, per portare a in Italia una testimonianza unica di questo popolo.
“Tesori dal tetto del mondo” inaugurata sabato 20 ottobre 2012 a Treviso a Ca’ dei Carraresi, rimarrà aperta per oltre sette mesi fino al 2 giugno 2013. Non perdetevela!
Qui il link dove trovate tutte le info sulla mostra.
Ps. ovviamente all’interno della mostra è vietatissimo fotografare, quindi le poche immagini che ho inserito le ho prese dal web specificandone la fonte.