Lo Utah è esattamente come me l’ero immaginato. Non è sempre detto che i tuoi film su una destinazione corrispondano poi alla realtà, anzi. Dei 4 stati attraversati nel West USA di sicuro lo Utah è quello che ho preferito in assoluto: la Highway 12 Scenic Byway e la Interstate 70 corrono verso Green River e Moab, fanno già da sole il viaggio. Dal Bryce Canyon verso Capitol Reef è un susseguirsi di cambi di scenari: rocce rosse, poi bianche, poi praterie, poi ancora rocce rosse, poi panorami lunari con rosa, giallo, bianco, poi si sale in montagna, la temperatura scende, e all’orizzonte picchi, vette, guglie e asperità del terreno. Solo la mole dei trucks distoglie gli occhi dalla vastità fuori dal finestrino dell’auto.
Certo è una bella tirata a livello di chilometri, 275 miglia (4 orette buone di strada senza soste e i tanti overlook dove viene voglia di fermarsi) ed è una tappa da inserire nel tour dei parchi dell’Ovest solo se avete due gg in più a disposizione. Qui però guidare è tutt’altro che stressante, nastri d’asfalto che corrono in mezzo a meraviglie, zero traffico, regole chiare e rispettate da tutti sulla strada. Il vento e l’acqua hanno trasformato il paesaggio, rendendolo unico. Scatto qualche fotografia ma poi meglio lasciare la reflex nella borsa: quello che sta intorno è troppo bello per essere visto attraverso la mediazione di un obiettivo. Un immenso palcoscenico dove si esibisce, protagonista assoluta, la geologia.
E’ un po’ una dimensione metafisica, una specie di quadro di Guttuso al naturale, fatto di silenzi, di cromie forti e plasticità, di surreale. In questa fetta di America pennelata di rispetto della biodiversità, di parchi ineccepibili, di efficienze e sane virtù borghesi, all’improvviso si materializza il contrario: un vecchio e fiero vagabondo, sembra un Hobo, della generazione di quelli che scelgono volontariamente uno stile di vita senzatetto, la semplicità, il viaggio, la ricerca interiore, la marginalità.
Col suo cappello scassato da cowboy in testa e una bisaccia in spalla, sembrava aver scelto quella casa sconfinata per abitarci, le stelle come unico tetto. Siamo seduti, si avvicina, appoggia una manciata di tesori: pezzi di ossa (dice di dinosauro), schegge di legno fossile. Dice di averle trovate fuori dal parco, dove la raccolta è legale. “E’ l’acqua che tira le ossa dei dinosauri giù dalle pareti di roccia. Le trascina a valle, le lascia sulle sponde dei ruscelli. E’ l’acqua che ha creato questi luoghi. Ma un po’ alla volta li distruggerà, si porterà via le mesas e le buttes, gli archi, le guglie. Tutto. Qui sarà solo una grande pianura, come quando c’erano i dinosauri.” Si, è proprio vero che gli incontri fanno i viaggi.
Le sue parole mi portano dirette nei dintorni di Moab, all’Arches National Park:
Da visitare in un giorno feriale, entrando la mattina presto quando non si incontra praticamente nessuno, per poter dialogare a tu per tu con questa natura bizzarra. Una specie di galleria cielo aperto, una grande collezione di archi naturali in pietra, Arches è la prova che Panta Rei, la natura crea e distrugge al tempo stesso, come aveva detto il vagabondo. Qui acqua, ghiaccio, sale e temperature estreme hanno scolpito una marea di archi di pietra, piccoli (90 cm) e immensi (90 mt). Eppure gli stessi archi vengono distrutti giorno per giorno, erosi e sbriciolati, e dopo anni cadono per la loro esiguità. I filmati del visitor center parlano chiaro. Un parco che esiste da milioni di anni, ma un ambiente estremamente fragile.
Consigli utili
Ci sono alcune cosine da tener presente, se andate come me in estate (io sono andata a fine Giugno e già nelle ore centrali era al limite della sopportazione, soprattutto per i bimbi):
- Il cuore turistico del parco si chiama Fiery Furnace “Fornace Ardente”: e già la dice lunga sulle temperature che troverete, nelle ore centrali è veramente dura resistere senza un buon cappello e un numero imprecisato di bottiglie d’acqua di scorta.
- Il parco è quasi tutto percorribile a piedi, tangibile, in base alla vostra prestanza fisica, potrete decidere di fermarvi ai punti d’osservazione lungo la strada o di cimentarvi anche in una serie infinita di sentieri. Noi qua diciamo che si fa Trekking, là lo chiamano Hiking #sapevatelo.
- Tutti gli archi di pietra veramente seri, arroganti e coreografici si possono raggiungere con un minimo di scarpinata…mica tanto, qualche miglio e poi decidete voi in base al clima e all’orario di arrivo. Di sicuro da vedere, in un giorno, sono:
- Balanced Rock: non è un trail, è una passeggiatina veloce ma di gusto. 39 mt di cui 17 di enorme masso in bilico. Arrivi sotto e la domanda è: ma cascherà mentre ci passeggio sotto (il marito direbbe…magariiii) o ci sarà da aspettare altri cent’anni? Perché si, è precaria, la Balanced Rock. Pure lei, in linea coi tempi. E poi ai bambini questo enigma d’equilibrio piace un casino 🙂
- Double Arch: qui la natura ha fatto un doppio scherzetto, e tranquilli sarà più il tempo che passerete col naso all’insù sotto la grande campata di questi immensi archi di quello per arrivarci vicino. Il sentiero è fattibilissimo. E poi quando sei lì è inevitabile, ti viene voglia di arrampiacarti, salire, esplorare. Perché il bello del Double Arch è che sotto è come un parco giochi, per grandi e piccini. E tutti che ci dan dentro 🙂
- Delicate Arch: dopo averlo visto sulle targhe delle auto, il simbolo del parco di Arches è un must to do. Le opzioni sono vederlo dal viewpoint con un sentiero di circa 1,5 Km oppure (quello più alto è il minimo) o sparavi la salita che parte da Wolfe Ranch e guadagnarvelo, con un percorso di circa 5 Km che ti permette di arrivare ai piedi dell’arco. Comunque vada sarà un successo, l’arco da l’impressione di essere realmente delicato, in bilico sulla roccia, aggrappato per non cadere giù… eppure è lì da qualche milione di anni!
- Primitive Trail: se vi restano tempo e forze, in fondo alla strada del parco vi aspettano 2 miglia di sterrato sabbioso e il Devils Garden Trailhead (7 miglia in tutto). Laggiù, transennato per la sua fragilità, troverete il Landscape Arch lungo 93 mt, talmente sottile da sembrare sospeso. Per noi, con la bambina al seguito e sole a picco, era veramente out ma verso aprile-maggio o settembre-ottobre, quando le temperature sono meno torride, perché no.
A smitizzare questo grande scenario da Far West ci pensano i nomi dati alle varie rocce: l’organo, le tre comari, la roccia-pecora… no ma si puòòòòò? Va beh che in americano fa tutto più figo, però daiiii 😀