“La vera star dei miei film western è sempre stato il paesaggio. La mia località preferita è Monument Valley. Ci sono fiumi, montagne, pianure, deserti: qualsiasi cosa la terra possa offrire. Lo considero il luogo più completo, più bello e pacifico del mondo.”
(John Ford)
Il silenzio. Poi il vento. Il caldo che picchia. Poi i butte e i mittens. E tutta la cinematografia negli occhi. Tra Utah e Arizona c’è un luogo onirico, in realtà si tratta di una valle…che poi di valle, in effetti, ha ben poco. E’ lei, la Monument Valley. Io ci sono arrivata un po’ sfatta, dopo giornate e chilometri di asfalto, e memorie geologiche viste di ogni tipo (che non depone a suo favore). Eppure è bastato essere lì perché non me ne importasse più niente. Dopo i film western, i poster, tutti quei racconti e le tante aspettative, era Lei: rossa, turchese, polverosa, teatrale. E incredibilmente vera.
In una riserva indiana, con i coyote, i cavalli pezzati e qualche nuvoletta a riccioli che sembrava disegnata. Si riesce a parlare poco quando si realizza un desiderio che arriva da lontano. Mi sono chiesta se avrei più visto qualcosa di altrettanto bello. Ancora non lo so, o forse sì, lo spero proprio. Forrest Gump descrive la Monument Valley come “il luogo nel quale non si distingue dove finisce la terra e comincia il cielo“, in realtà è un confine netto e ci si arriva per un’unica strada, un’unica via di accesso. E’ la US Route 163, una leggenda della storia americana, la Navajo Road.
Una lunghissima prospettiva che in un colpo solo ti fa rivedere i fumetti di Tex Willer, di Zagor, di Black Macigno e Capitan Miki, le strisce di Jacovitti, le icone del West, le pellicole di Indiana Jones, Odissea nello Spazio, Easy Rider e ovviamente Forrest barbuto che ti dice “sono un po’ stanchino, tornerei a casa”. Il panorama sa di Settimo Cavalleria, di Spaghetti Western, di Sergio Leone, di bisonti al galoppo, di incolonnamenti a cavallo per due, C’era una volta il West, di John Wayne e Cavallo Pazzo, del cinema di Ford. Ogni granello trasuda Western, leggendari duelli e odore di povere da sparo.
Viene voglia di mettersi in posa sotto il sole cocente su una roccia, col cappello a falda larga, chiudere gli occhi, respirare profondamente e immaginare di far confessare a Geronimo il piano per distruggere Custer a Little Big Horne…ma torniamo alla realtà e vediamo un po’ come è fatta! Per molti anni quest’area non è stata proprio niente, soltanto stupendi monoliti rossi in mezzo a una sterminata valle all’interno della riserva Navajo. Oggi è famosa non tanto per il suo nome, ma per la sua immagine diventata leggendaria grazie all’opera di Mr. Harry Gouldings che per aiutare i Navajos sfruttò giustamente la bellezza di quelle pietre rosse facendole conoscere a John Ford, certo che avrebbero fatto presa nella fantasia del suo genio. E adesso quelle pietre sono uno dei simboli più significativi degli Stati Uniti d’America.
17 miglia nella polvere : Decidiamo di fare gli spavaldi e non salire sulle Jeep aperte che le guide indiane usano per i loro tour nella valle….ma non so quanto è stata una buona idea 🙂 Le strade nella valle non sono asfaltate e per questo sollevano una gran massa di fine polvere rossa, tutti quei turisti con un caldo boia e i fazzoletti avvolti sulla bocca non ci ispirano, la temperatura (40 gradi) e la polvere che si insinua nelle narici non è il massimo per due viaggiatori con bambina al seguito. Certo avere una 4×4 qui aiuta, e parecchio, le 17 miglia che compiono un giro circolare intorno alle sporgenze rocciose sono da percorrere su uno sterrato pieno di buche (profonde) e sabbia che costringe ad andare molto piano e ben distanti dalle altre vetture. In alternativa, è possibile eseguire il giro su camioncini guidati dai Navajo: questa scelta comporta il vantaggio di poter compiere dei “fuori pista” autorizzati ma allo stesso tempo lo svantaggio di doversi soffermare nei vari punti panoramici solo per il tempo che l’autista ritiene necessario. Noi optiamo per il giro in maniera del tutto autonoma…con il marito che ha sudato sette camice per non insabbiarsi o distruggere gli ammortizzatori 🙁 Valutate bene costi-benefici e poi decidete.
La cosa migliore è andare in una stagione (non l’estate) dove le temperature sono miti e a un certo punto del giro, tra i punti più spettacolari – The Mittens (i guantoni), Elephant Butte (la roccia dell’elefante), Camel Butte (la roccia del cammello), The Thumb (il pollice), The King on His Throne (il re sul suo trono), The Three Sisters (le tre sorelle) – ci sono i Navajo coi loro cavalli…io ero pronta a provare, anche perchè raggiungono parte della Monument Valley che sono off-limits per auto private, come le zone residenziali dei nativi e le incisioni rupestri. Ma non tutto è pianificabile in un lungo viaggio, e le temperature erano veramente troppo alte 🙁
Sopravvissuti al caldo e alla Valley Drive, il meritato premio è il piazzale davanti a The View, l’unico hotel all’interno del parco con una posizione veramente pazzesca sulla valle. Un silenzio assordante che sembra mangiarsi il rumore lontano dei veicoli sulla terra rossa. Trovarsi all’improvviso lì, davanti a quegli altari, mi fa sentire fortunata e un pensiero inevitabilmente vola verso mio padre e a tutti i western che la sera sul divano mi faceva vedere da piccolina. Sono partita per l’Ovest convinta che almeno una volta nella vita questa parte di mondo deve essere vista, e la Monument Valley era un punto fermo nella mia wishlist.
Uscendo dal parco è d’obbligo un piatto tipicamente Navajo: il Tacos. Consiglio quello mini, perchè già il medio è una spaventosa focaccia di insalata verde, cipolla, peperoncino, mezzo chilo di fagioli rossi sopra, un po’ difficile da digerire. Qualche cameriere è Navajo,aria scura e corrucciata. Niente. Come se le loro facce ricordino ancora la grande amarezza, tramandata da generazione in generazione, che il Governo Americano causò in loro quando furono confinati nelle riserve. Ancora non hanno dimenticato e li vedi guidare le jeep invece dei loro mustangs, vendere ai turisti bijotteria fatta dai cinesi e spacciata per Navajo. Oggi i rappresentanti politici si stanno rendendo conto del danno che i loro governi arrecarono duecento anni fa al popolo pellerossa e stanno chiedendo scusa ai veri nativi americani a lungo emarginati e privati di ogni diritto civile. Monument Valley stessa era stata tolta e poi, solo dopo tanto tempo, riconsegnata ai Navajo.
Da un tacos guarda quante cose possono tornare alla mente 😀
a distanza di mesi non mi hai ancora stufato con i tuoi racconti americani, anzi aspetto sempre più trepidante la prossima puntata!
ps: vedo che i sandaloni da tedesca non mancano nemmeno nella valigia della mia omonima 😀
ormai ho imboccato questa strada e devo arrivare in fondo!!! i sandaloni non saranno fashion ma lì con quel caldo micidiale sono l’ideale 🙂
che vergogna… i miei viaggi più belli qui e non ho ancora scritto nulla!!
La Monument è uno dei miei preferiti <3
Ciao Elisa, ti faccio compagnia, anch’io ho una marea di post da scrivere sull’Australia…tutti solo nella testa 🙂 però è innegabile le cose fresche vengono fuori con più facilità e poi di tantissime mete viste in passato ho solo le diapo e dovrei scansirle…prima o poi.
Hai detto Australia?? WOW!! Io invece ho tutto in digitale ma è proprio il tempo di sedermi a scrivere che mi manca 🙁
Maledetto lavoro 😉