Il caso delle Isole Uros: belle da vedere, senza credere alle favole

Oggi apro il sipario sulle Isole Uros – in teoria uno degli highlights del Perù – anzi mi piace chiamarlo il caso delle Isole Uros” sul Lago Titicaca. Per me questo blog di viaggi è sempre stato un canale dove la realtà, vista dagli occhi di una semplice viaggiatrice, deve emergere ed essere raccontata agli altri com’è in tutte le sue sfaccettature, positive e negative, senza fronzoli o filtri indoranti. E sicuramente le isole galleggianti del popolo Uros, 97 isole su cui vivono circa 520 famiglie, sono un caso interessante.

E’ un pò l’isola che non c’è, anzi l’arcipelago che non c’è… eppure è reale, si può visitare, conoscerne gli abitanti, ma il giorno dopo potrebbe non essere più lì. In fondo è il prodigio costruito dalle popolazioni Uros con fascine di totora (un tipo di canna che cresce nella zona) per proteggersi nei secoli passati dai nemici, tra cui i bellicosi Incas, e ad uso e consumo dei turisti nei tempi odierni.

La tecnica di costruzione

Per chi non fosse pratico di totora e dintorni, serve un cappello introduttivo: le isole Uros sono costruite secondo un’antica tecnica tramandata da generazione in generazione. La parte che ne costituisce le fondamenta è la raiz (radici e piante lacustri). Una volta costituita la piattaforma, si crea il pavimento, formato con una serie di strati di totora, una pianta lunga e molto sottile, simile al bambù, che cresce sul lago usata come materiale di riempimento. Su questo stato di canne lasciate asciugare, loro costruiscono le capanne per vivere.

L’isola, simile a una zattera, sarebbe in balia delle correnti se non fose agganciata con corde a una serie di pali di eucalipto piantati nel fondo. Un sistema di ancoraggio che permette all’isola di fluttuare sull’acqua entro un perimetro prestabilito e di alzarsi o abbassarsi sul livello dell’acqua nel periodo delle piogge o durante le estati di siccità. Resta il problema dell’umidità, che tende a salire lungo la raiz e a passare attraverso l’intreccio di totora. Per evitare ciò, gli aymara uros aggiungono continuamente uno strato ulteriore di totora, ripetendo mese dopo mese il processo di sostituzione che permette all’isola di preservarsi.

Come funziona la visita

I primi miti vengono sfatati subito: il lungolago di Puno è un susseguirsi di barche e barconi dove contrattare la mezz’ora di navigazione verso le isole (mentre le immaginavi sperdute in mezzo al Titicaca sono lì a un tiro di schioppo dalla città e subito intuisci che l’afflusso turistico è un continuum. Appena l’imbarcazione si avvicina è un’esplosione di colori fluo ovunque e di musica di benvenuto, ti illudi di poter scoprire qualcosa della culla della cultura andina, di avere a che fare ancora con un pizzico di autenticità, di entrare nelle loro case, che abitino davvero lì dentro. Ma la verità ahimè è un filino diversa.

Sarete incanalati in due ore scandite con precisione da un unico obiettivo: farvi assaggiare in modo superficiale qualcosa che non esiste più e farvi acquistare i loro prodotti artigianali. In buona sostanza ci si trova a camminare sul soffice delle canne, si viene accolti dalle donne dai capelli lucidi, neri come la pece e raccolti in trecce che finiscono in pon pon sgargianti, loro vi faranno sedere a cerchio per spiegarvi in 10 minuti come viene costruita un’isola di totora, e la sensazione di essere su un museo galleggiante inizia a farsi largo.

Verrete suddivisi a gruppetti, accompagnati a vedere una loro capanna ma è evidente che lì dentro non ci abita nessuno da quel dì, è come andare al museo etno-antropologico di un territorio, ti raccontano qualche aneddoto storico sulla loro cultura e sulle loro tradizioni, e poi cercano di venderti qualche oggetto di presunto artigianato. Anche se in realtà sono le stesse cose che si trovano in tutti i negozi di souvenir del Perù, però a prezzo raddoppiato. A me è venuta subito un pò d’orticaria.

L’ultimo step programmato è offrirti (con prezzo a parte, 10 sol per 25 min circa) un giro in barca tra le isole, anche queste superfotogeniche, realizzate esternamente in totora anche se molte vanno ormai a motore. La prua è un puma, la rappresentazione aymara della divinità terrena; un tempo venivano fabbricate solo con un intreccio di totora, ma durava al massimo otto mesi. Poi la comunità imparò a riciclare la plastica, quindi raccolgono, bottiglie, sacchetti, contenitori che inquinano il lago e la usano come riempimento della chiglia. La barca permette di avere una prospettiva più ampia sulle isole, anche se il tour è breve e prosegue nell’isola capitale dove c’è un bar a prezzi gonfiati, un bagno a pagamento e dove potrete fare il timbro delle isole degli Uros sul passaporto (al prezzo di 1 sol). L’orticaria nel frattempo, ve lo dico, è diventata insopportabile.

Tutto molto sbrigativo, tutto scandito, tutto troppo commerciale, senz’anima.

Conclusioni e pensieri sparsi

Le isole degli Uros sono particolarissime e curiose, io per prima non avrei mai rinunciato a vederle, rimangono comunque una tappa imperdibile per chi visita il lago Titicaca perchè la popolazione Uros, di origine pre-incaica, è una delle più antiche e originali del Sud America e visitare le isole, capire come sono fatte, e camminarci sopra è un’esperienza unica. Ormai le generazioni moderne frequentano le scuole di Puno e molti degli anziani passano il tempo a mercanteggiare sulla terraferma, contaminati dalla modernità. Spuntano i pannelli solari,sopra le capanne, al posto della precaria illuminazione a candele che una volta inceneriva intere isole.

Eppure bisogna andarci consapevoli che oggi la civiltà Uros assomiglia solo a un museo vivente, in cui gli abitanti esibiscono un corpus di tradizioni a favore dei turisti, per vivere con qualche agio in più. Oggi è finzione, è quasi parco gochi 2.0, nessuno ci abita, i vestiti tradizionali sono indossati apposta. Credo sia un’evoluzione negativa di un vero tesoro: Tupiri, Santa Maria, Tribuna, Toranipata, Chumi, Paraíso, Kapi, Titino, Tinajero e Negrone, le isole principali abitate da una decina di famiglie mantengono la tradizione della tessitura, della pesca artigianale (soprattutto del carachi e del persico) e della caccia di uccelli selvatici… su questo si dovrebbe puntare, offrendo al visitatore un’alternativa esperenziale, un approccio non da batteria intensa di polli da spennare, ma più culturale e meno disneyano.

Quindi, vale la pena vedere gli Uros in Perù? Ci vorrebbe la macchina del tempo perchè la domanda non sia kafkiana, tuttavia il mio consiglio è visitate le islas flotantes, senza credere alle favole.


Qui l’itinerario completo di viaggio del Camino Real in Perù e Bolivia 🙂

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