Lago Titicaca: isole di Taquile e Amantanì, turismo comunitario, falò di munja e doccia di stelle

Finalmente il lago Titicaca, 8000 chilometri quadrati di acque profonde, a quasi 4000 metri sul livello del mare dove il vento non dà tregua, il sole brucia la pelle senza che tu te ne accorga e le rive sono coperte di totora. Superata la baia di Puno da dove partono tutti i barconi, si spalanca uno specchio blu intenso e sullo sfondo l’imponenza della Cordigliera Real, già in territorio boliviano. Arrivare qui sul lago navigabile più alto del mondo ha davvero un sapore leggendario per chi ama viaggiare.

Lui, il Titicaca, se ne sta placido in un mondo rovesciato: il mare d’acqua dolce riflette il cielo e le nuvole bianche ci corrono sopra, gareggiando in velocità con le imbarcazioni. Sono 34 le sue isole, grandi e piccole, abitate dall’ etnia quequa e da quel che resta degli aymara. La natura è padrona da queste parti, ma cosa qualifica il Titicaca agli occhi del viaggiatore è l’elemento umano , altrove segnato dall’industria del turismo di massa.

In due ore di navigazione lenta si raggiunge l’isola di Taquile, poi altre tre ore, a seconda di come tirano il vento e la corrente, l’isola di Amantanì. Il capitano della barca ti assegna a una famiglia, i contadini locali ospitano nelle loro comunità rurali i visitatori, si può alloggiare nelle loro case adattandosi ai ritmi del sole, sveglia presto e buio nel tardo pomeriggio, a un letto senza riscaldamento e un piatto di papas con formaggio di capra e infuso di munja selvatica. Condividere il tempo con gli abitanti delle isole, percorrere su e giù i sentieri lastricati tra i cespugli di kantuta, il fiore rosa simbolo dell’isola, è un’occasione da non perdere, per cambiare prospettiva e avvicinarsi a loro.

Isola di Taquile

Taquile è un’isola di 7 kmq abitata da circa 2200 anime. Ed esplorarla richiede una “tassa” fisica che è chiara appena la barca attracca al molo: tra il porto e l’abitato ci sono 500 gradini di dislivello, una scalinata che a 4000 mt non è esattamente una passeggiata. Appena cominci a salire e il panorama si apre di fronte spicca il contrasto cromatico tra le terrazze di terra rossastra, coltivate a patate, quinoa, fagioli e mais, e il blu intenso del lago tutt’intorno. La prima ricompensa alla salita arriva quindi dalla cromoterapia.

La seconda ricompensa è data dal confronto con chi vedrete salire e scendere come fosse bersi un bicchiere d’acqua: mentre tu sei lì, sudato e ansimante, ti doppia inevitabilmente una vecchietta di età indefinibile, dalla gonna multistrato e coloratissima, con sulla schiena un telo più grande di lei pieno zeppo di alimenti o oggetti di peso significativo, e in quell’istante capisci che se lei trasporta su e giù, magari ogni giorno, un peso enorme, ogni tua lamentela è veramente fuori luogo.

La terza ricompensa è capire da una guida qualcosa della cultura dell’isola; è talmente forte che i matrimoni tra persone non originarie dell’isola sono rari. Sia uomini che donne indossano abiti legati alla tradizione realizzati sull’isola, gli uomini si distinguono tra sposati e celibi dal colore del cappello, rosso per i primi, bianco e rosso per i secondi. Le donne invece indossano solo gonne multistrato e camice ricamate, la tessitura è la vera attività di eccellenza dei  Taquileños. Loro cercano di gestire tutto il turismo per conto proprio, in modo da garantire un basso impatto del turismo sull’ecosistema dell’isola.

La quarta ricompensa è gastronomica, la sopa casalinga e la trota freschissima alla griglia, specialità del posto. Una stradina lastricata fa il giro dell’isola, si respira la tranquillità di un microscopico mondo isolato. I turisti iniziano a essere parecchi, a Taquile ci sono ristoranti, piccoli hotel e guest house, quindi se cercate maggiore l’autentità il mio consiglio è di fermarvi solo di passaggio e dormire invece nella più lontana isola di Amantanì, dove il modello di turismo è del tutto sostenibile, non ci sono strade, nè hotel ne ristoranti, e si può solo alloggiare solo a casa dei contadini locali.

L’isola di Amantanì

Amantanì è tonda,  9 kmq abitati da 3600 persone, divise in piccole comunità che vivono di pastorizia, agricoltura e oggi turismo sostenibile. Anche qui niente strade, macchine, moto, taxi. Solo una serpentina di sentieri che si arrampicano e gradini per salire/scendere. Ci si muove a  piedi e i pali della luce elettrica sono una novità grazie a qualche pannello solare, ci si è sempre regolati con la luce del sole e con ben poche distrazioni. Solo due campi da calcio, due scuole, due chiese, una scuola, una piccola piazza, orti di patate, quinoa, asini e pecore, eucalipti e cipressi.

Quel che di sicuro non manca è l’ospitalità degli isolaniAmantanì è tanto semplice quanto deliziosa, le comunità in questi ultimi anni si sono dedicate molto all’accoglienza dei turisti in costruzioni per lo più fatte di mattoni di fango. Arredi minimali, a parte il letto e un paio di sedie, una lampadina per stanza, una cucina d’altri tempi: quinoa, riso, patate, pomodori, formaggio, i frutti della loro terra preparati alla loro maniera. Sull’isola ci si sposta a piedi o sui muli. Ci sono due rilievi alti circa 300 metri sul livello del lago, la Pachatata e la Pachamama, raggiungibili con una caminera in pietra e 45 minuti di cammino.

Passare una notte sull’isola di Amantani è un’esperienza tutta particolare. All’arrivo al molo, si viene assegnati ad una famiglia che ci ospiterà per la notte. L’assegnazione è a rotazione, la famiglia si occuperà della cena e della sistemazione. L’elettricità è fornita dai pannelli solari e l’acqua è poca. I servizi sono essenziali, il riscaldamento non c’è, la cena di solito è una minestra di quinoa e verdure, come primo piatto, seguita da una pietanza a base di patate, formaggio e riso; si dorme sono spessi strati di coperte di alpaca, il bagno è sempre all’esterno, ma la quiete e la genuinità degli abitanti rendono i servizi basici, per me, accettabilissimi.

A cena la figlia sedicenne della famiglia che ci ha ospitato ci fa tante domande su quanti anni abbiamo, dove viviamo, dove siamo stati, ci dice che lei è stata al massimo a Puno e ci racconta che  dovrebbe andare a Lima per studiare all’università, però poi vorrebbe tornare a vivere sull’isola perchè si sta bene, anche se non c’è molto. La sera continua nella piazza gremita da locali per una festa di paese, mi dicono che si tratta della Festa dell’Artigianato, tutti indossano gli abiti tradizionali andini e musica, balli, gonne che ruotano, colori esagerati. Ci sono i gradoni con le famiglie vestite a festa, i musicisti, i capelli cilindrici con le piume di uccello, le danze tradizionali, i falò serali coi fasci di munja che bruciano mentre loro ballano intorno nel fumo generale, a due passi da noi. E’ fantastico, mi sento per un attimo dentro la loro quotidianità.

Mentre torno a casa lungo il sentiero non illuminato, alzo lo sguardo ed è impressionante il cielo stellato visibile da qui, dove l’inquinamento non esiste e l’elettricità è minima. E’ una doccia di stelle da toglie il fiato, talmente fitta e immensa… qualcosa che noi abbiamo perso e di cui non ci rendiamo nemmeno conto, è l’ultimo grande regalo che Amantanì mi fa prima di ripartire l’indomani.

Informazioni utili

Fate attenzione all’altitudine! Durante questo viaggio in Perù e Bolivia si raggiungono altezze considerevoli, aspetto da non sottovalutare. Il soroche (mal di montagna) è il primo dei problemi  che possono incontrare i viaggiatori da queste parti, ricordiamoci sempre che qui sul Titicaca siamo già a 4000 mt, l’aria è rarefatta e l’ossigeno scarso, quindi bisogna affrontare il viaggio con consapevolezza. Non sto parlando di alpinismo o viaggi estremi, ma di viaggi normali che chiunque di noi può prenotare (a parte chi soffre di problemi cardiaci o pressione troppo alta) e di non sottovalutare mai i rischi del partire senza essersi informati e senza muoversi con un’adeguata assicurazione di viaggio. Viaggiare vuol dire infatti divertirsi, visitare, staccare la spina, ma non partire mai allo sbaraglio.

Poi, di sicuro quando arriverete qui, per ovviare agli inconvenienti causati dall’altitudine, i locali vi proporranno di masticare come è loro usanza foglie di coca, bere infusi (mate) e mangiare caramelle a base di questa «pianta magica», erbe medicinali o curanderi locali. Ma la cosa più importante è abituare il proprio corpo lentamente all’ ascesa: questo vuol dire che non si dovrebbe salire oltre i 600 metri al giorno una volta superata la soglia di 2500 metri, in modo da adattare l’organismo alla nuova altitudine.

Le reazioni sono soggettive, i primi sintomi sono quelli normali:  mal di testa, debolezza e stanchezza generale, avere il fiatone anche solo dopo una rampa di scale. Sintomi un po’ più seri sono: nausea, vomito, tachicardia, stato confusionale, sempre accompagnati da cefalea. Bisogna saper riconoscere i sintomi, fermarsi nella stessa quota e se peggiorano assolutamente scendere di minimo 500 metri. Non dobbiamo rinunciare a visitare paesi stupendi come il Perù, ma semplicemente informarsi prima di partire, fare l’assicurazione sanitaria, effettuare una visita medica accurata e premunirsi dei farmaci utili. Saper anche capire i propri limiti e, qualora servisse, cambiare programma e scendere di quota.


post scritto in collaborazione con Intermundial 

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2 Comments

  1. Ciao,
    che bel post! Quest’estate io e il mio compagno saremo in Perù e avremo anche noi una sosta immancabile sul lago Titicaca. Vorremmo pernottare una notte sull’isola di Taquile. Posso chiederti se tu ti sei affidato a un’agenzia o sei hai organizzato per conto tuo?
    Grazie
    Claudia

    Reply
    • Ciao Claudia, non è necessario pernottare a Taquile, io l’ho fatta in giornata e ho dormito invece ad Amantani in una delle tante case rural dove abitano i locali, credo sia tra le due l’isola più autentica e meno turistica. Io ero con un gruppo ma, avendo viaggiato tanti anni in autonomia, ti dico che è facilmente organizzabile anche da soli semplicemente con una delle tante agenzie locali a Puno dove trovi il passaggio in barca sul Titicaca e il pernottamento nell’isola che preferisci. Buon Perù!

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