Due anni esatti sono passati, era il 21 Febbraio del 2020 quando venne diffusa la notizia del primo morto da Coronavirus in Italia ed ebbe inizio la pandemia. Due anni di incertezze planetarie, di restrizioni globalizzate, di ribaltamento delle nostre vite, tutti sulla stessa barca in un mare in tempesta. La storia di questi due anni, tra fantascienza e sanità, la conosciamo tutti, l’abbiamo vissuta ognuno sulla propria pelle e nella propria quotidianità. E non sono certo qui a tediarvi su questo, consapevole che la storia non sia ancora finita.
La domanda a distanza di due anni è: come ho vissuto io, da eterna viaggiatrice, l’impatto che il Covid-19 ha avuto sulla mia vita e sulle mie passioni? Nel 2020, dopo 30 anni di onorato servizio continuativo, scadeva il mio passaporto. Era un segno. L’ufficio passaporti della città in cui vivo era momentaneamente chiuso. Non l’ho più rinnovato. E’ iniziata così una lunga anestesia, dove restare a casa ormai fa parte della nostra nuova normalità.
Non ho mai sottovalutato i rischi, non ho mai scherzato con il fuoco, l’idea di affrontare confini internazionali chiusi, raggiungibili solo con motivazioni specifiche, fare lo slalom tra tamponi, quarantene, isolamenti o magari sfruttare i corridoi turistici Covid-free pur di viaggiare, mi fa rabbrividire (scelta personale). Abituata da sempre alla libertà di scelta, all’incontro, al sorriso altrui, a vivere il viaggio come apertura e anche, perché no, come spensieratezza, passione, aria fresca… ho pensato fosse meglio imparare ad accettare una situazione cambiata, e fermarsi senza scalciare. Anche questo blog ne ha risentito, è andato in standby anestetizzato, perché un/una travel blogger ho sempre creduto debba viaggiare davvero per produrre contenuti credibili e validi.
Detto questo, è tutto in continua evoluzione e il Covid non ferma di certo la voglia di esplorare il mondo di un viaggiatore. Ci sarà tempo e modo di tornare a farlo, con responsabilità e consapevolezza, ma senza forzature. Sarà che gli anni insegnano a cambiare priorità, sarà che la pandemia ha aperto gli occhi sulle piccole cose, sarà che il sogno di “vedere un giardino più grande” non si spegne, ma si alimenta ancor più quando è limitato, ora la prospettiva è mutata: si cercano nuove ispirazioni di viaggio, si esplorano le mete di prossimità, forse si condivide meno per vivere di più.
La batosta è stata grande, la pandemia ha scosso le nostra fondamenta e ci ha cambiato nel profondo, e questo impatto psicologico continuerà e credo accrescerà il potere taumaturgico del viaggiare legato all’emotività, al benessere, alla salute mentale. Il viaggio come rinascita, il desiderio di evadere, staccare la spina e ricaricare le batterie, respirando positività e serenità e vivere esperienze che ci fanno stare bene. Ognuno ha le sue esigenze, che sia un trekking, immergersi alle terme o fare forest-bathing (immersione nella foresta) o solo una passeggiata anti-stress. Rigenerarsi e rinascere la nuova parola d’ordine, e a ciascuno la sua preferenza, che sia un volo oltreoceano o un tuffo dietro casa. Viaggiare è come quando saliamo su una bicicletta e non importa dove stiamo andando, ma ci stiamo muovendo e conta solo la bellezza del vento tra i capelli e la sensazione di libertà che ci regala.
Una specie di ritorno ciclico all’antica dromoterapia di Ippocrate, dal rumeno “drom” – viaggio – dal greco “dromos” – corsa e dal sanscrito “dremi” – vagare. Ippocrate nel 400 a.C., padre della medicina moderna conosciuto per il giuramento e le sue innovazioni, lo aveva già capito… quando un paziente voleva guarire da una malattia, lo spediva su un’isola, la terapia includeva allontanarsi dal contesto che l’aveva generata. Perché viaggiare ha valore terapeutico, l’assenza delle pressioni consuete, pressioni familiari, lavorative, sociali, lascia il posto al cambiare luogo, idea, sguardo e riscoprire un’armonia.
Armonia che speriamo di ritrovare presto.