Per molti viaggiatori, per non dire quasi tutti, il primo giorno in Myanmar (Birmania) prevede l’arrivo a Yangon, e io non fatto eccezione. All’inizio l’impatto con l’antica Rangoon non è stato facile: sette milioni di abitanti, traffico caotico, attraversamenti pedonali selvaggi (ci si butta e si spera!), tassisti che non si sa come riescono a destreggiarsi con manovre ai limiti della fantasia (e usando volanti ricoperti di moquette), la vita che scorre disordinata e vera ai bordi delle strade, la tua camera d’albergo in pieno centro che ha un discreto odore di chiuso e muffa. Insomma Non ci sono filtri, sei nell’arena asiatica e senza protezioni, tra inquinamento, colori, frutta, casino, marciapiedi scassatie vita ovunque intorno a te. Però da quasi ogni punto di Yangon si vede lei, che appoggiata su una collina spunta in tutto il suo splendore: la Shwedagon Pagoda, cuore buddhista della città. La guardi e sai già che non ti deluderà, ancor prima di oltrepassare uno dei suoi 4 maestosi ingressi.
La Shwedag0n Pagoda è un tesoro che si schiude a poco a poco e che ha dell’incredibile . È quasi una città nella città, dotata di scale mobili e ascensori che portano all’altezza dell’area sacra, lasciate le scarpe e le calze la nudità dei piedi è il primo necessario segno di rispetto. Si cammina sulla pietra, sul marmo o su tavole di legno, e il primo pensiero tutto occidentale va alle infezioni, la scarsa pulizia, lo sterco degli uccelli, gli sputi di betel che dà quella colorazione rossastra ai loro sorrisi…. Oddio, dove mi tocca passeggiare. Credetemi è un attimo, poi ti guardi intorno e le cose cambiano.
La tranquillità e la pace del luogo, il candore della pietra, la dolcezza del sorriso dei Buddha, la bellezza di quello che si ha di fronte, le scene di vita tutt’intorno e stuoli di donne che provvedono alla pulizia costante dei pavimenti con passo veloce, una prima fila armata di scope di saggina e una seconda fila che raccoglie ed elimina la sporcizia. O forse è che i miei piedi nudi iniziano veramente a camminare liberi, senza ossessioni occidentali, con il passo dell’armonia. E gli occhi si riempiono di immagini nuove: uno spettacolo umano, architettonico e paesaggistico insieme, ricco di tantissime contraddizioni che hanno fatto sorgere dentro di me alcune domande. Ma andiamo con ordine.
L’architettura della Shwedagon Pagoda
Qualche numero solo per darvi un’idea (e poi tante foto che rendono meglio): al centro la Paya, lo Zedi finito nel 1485, alto 99 metri, un imbuto rovesciato ricoperto da 27 tonnellate di foglia d’oro e sul pinnacolo il grande ombrello reale con un enorme smeraldo e 3000 campanelle decorate con quasi 5500 diamanti e pietre preziose. Il tutto per custodire all’interno ben 8 capelli e altre reliquie del Buddha. Tutt’intono una superficie di 46 ettari, accessibile da 4 zaugdan, passaggi coperti sorvegliati da 2 chinthie, divinità alte 9 mt guardiane delle pagode. Affascinante, anche perché non somiglia a nessun’altro angolo del mondo.
Intorno mille altre pagode, 64 stupa dorati e poi ancora templi e statue di Buddha..l’impressione è che non finiscano più :-). Ciascuna diversa per finalità: dalla preghiera, al culto popolare al centro di studio, allo spazio per la meditazione, al semplice punto di ritrovo. Bambini che corrono, giovani che si incontrano, famiglie che fanno festa, monaci in meditazione (ma anche a farsi i selfie!). Mi fermo a osservare tutto quello che mi scorre davanti agli occhi, in un vano tentativo di capirci qualcosa. La comprensione della marea di gesti e rituali che le persone compiono qui non è facile, al di là del sorriso, della foto col monaco, e della tranquillità che si respira. Per questo chiediamo aiuto a una delle tante guide che in infradito e longyi a quadretti accompagnano i visitatori e gli raccontano tutti i perché.
Perché tutto questo oro nella Shwedagon Pagoda? Che senso ha con tutta la povertà che c’è in Myanmar?
L’oro birmano ha un motivo preciso: applicare una foglia d’oro alla statua del Buddha è un fondamentale segno di devozione e un’acquisizione di meriti nelle vite future. Ovunque imperversa la raccolta di donazioni, i birmani danno con una generosità incredibile: anche il 50 % del loro reddito, e più sono poveri, più danno. I fondi vanno alla costruzione di nuovi templi e statue, oltre che all’ampliamento e alla manutenzione di quelli esistenti e al mantenimento dei monaci. I fedeli vanno al tempio, acquistano le foglie d’oro e vanno ad incollarle sulla statua di Buddha appositamente preparata, dopo di che vanno a suonare una campana per far sapere a tutti la buona azione commessa. Io mi sforzo, ma faccio fatica a capire come in un paese che ha bisogno di tutto, si raccolgano così tante offerte per coprire con infiniti strati di foglie d’oro le statue di Buddha. Esci fuori dal tempio e la realtà è tutt’altro che dorata.
L’immagine di una Myanmar tutta spiritualità e rinuncia dei beni materiali è reale?
Mi aspettavo l’incontro con una cultura che dà un’immenso valore alla spiritualità, soprattutto qui, nel cuore sacro del paese. Le cose non stanno proprio così e forse sono solo segno dei tempi. La religione buddhista permea profondamente la vita di questo popolo, le persone praticano in modo concreto la compassione. Un atteggiamento che noi occidentali potremmo chiamare empatia, e che si mostra in modo semplice, nei sorrisi e nei gesti naturalmente gentili e onesti dei birmani. Poi però c’è anche altro.
Oggi c’è il wi-fi donato alla pagoda, c’è il commercio di paccottiglia made in China fino all’ingresso, la gente che naviga in Internet nel tempio e i monaci coi cellulari a scattarsi foto coi turisti, ci sono i santuari con le grandi teche mangiasoldi. Bacheche, vetrinette, tabernacoli per introdurre ovunque banconote spiegazzate, sempre lì in vista per incoraggiare il donatore. Ci sono persino le prese elettriche nei templi, per ricaricare gli apparecchi e due bancomat all’ingresso del tempio, non si sa mai che si resti senza denaro. Ma qui non doveva essere praticato il buddhismo ortodosso, l’antica scuola Theravada, quella più austera e ascetica? Boh, qualcosa mi sfugge di sicuro.
È vero che in Myanmar la settimana è composta da 8 giorni?
Vedo fedeli che, in segno di devozione, versano tanti bicchieri di acqua: corrispondono agli anni già vissuti più uno per gli anni futuri, e ci spiegano che vanno versati su una immagine di Buddha oppure sull’immagine corrispondente al proprio punto astrologico, stabilito dal giorno della settimana in cui il fedele è nato. Ad ogni giorno della settimana è abbinata una figura di animale, secondo il seguente schema:
- Tigre – per i nati di lunedì.
- Leone – per i nati di martedì.
- Elefante – per i nati di mercoledì mattina.
- Elefante senza zanne – per i nati di mercoledì pomeriggio.
- Topo – per i nati di giovedì.
- Porcellino d’India – per i nati di venerdì.
- Drago – per i nati di sabato.
- Garuda – per i nati di domenica.
Infatti in Birmania la settimana ha 8 giorni: più precisamente, il mercoledì viene spezzato in due. Ogni birmano, all’interno del suo nome, ha quello del giorno in cui è nato e quando va in pagoda compie parte dei riti religiosi nell’angolo dedicato a quel giorno. La base della pagoda è ottagonale, e si è scelto di raddoppiare il mercoledì dividendolo in 2 giorni, in modo da ristabilire l’equilibrio. Il mondo è bello perché è vario, ed è proprio vero.
Cosa sono i nats?
Alle pratiche buddhiste si affianca (o piuttosto ne fa parte) una religiosità popolare che ha nei nats i suoi punti di riferimento e non è mai scomparsa. Sono spiriti della natura che popolano montagne, alberi, fiumi e templi. Provengono da individui che hanno subito una morte violenta, assassinati e meglio ancora se divorati da animali feroci, e che poi si sono trasformati in uno spirito, andando ad esercitare un certo potere su un luogo, su un mestiere o su una qualsiasi situazione umana. 37 sono ufficiali, ma ce ne sono molti di più a livello locale. Vicino alle paya può capitare di imbattersi in statue che li raffigurano, e presentano in alcuni punti del loro corpo parti consumate, segno di un continuo sfregamento. La credenza popolare vuole che il fedele che soffre di un qualche male, sfregando la stessa parte della statua, ne possa ricevere un sollievo o addirittura una guarigione.
Come mai nella Shwedagon Pagoda si sente profumo di gelsomino?
I fiori bianchi di gelsomino,freschi e profumatissimi, sono intrecciati in lunghe collane e offerti ai Buddha o alla statua dell’animale che simboleggia il giorno della settimana in cui si è nati, inchinandosi tre volte. Un profumo che a distanza di giorni ti rimane dentro. Insieme a tante altre offerte, cesti di fiori e frutta, cibo e bastoncini di incenso in appositi bracieri. Poi scende il tramonto e non c’è più spazio per le spiegazioni, le luci sulla pagoda si accendono, gli ombrellini parasole delle signore si chiudono, centinaia di candele votive e fiammelle delimitano l’area della paya, cala il silenzio della sera e un’atmosfera pazzesca che non credevo esistesse più.