Come dimenticare la sensazione di camminare tra gli stupa di Kakku, in una valle il cui silenzio è interrotto solo dal tintinnio di centinaia di campanelli mossi dal vento? Impossibile. E’ una delle tante esperienze incredibili che mi ha regalato il Myanmar. Ad accompagnarci in mezzo al sito archeologico di Kakku (mi raccomando, con l’accento sulla u) e al suo labirinto di pagode è So, 17 anni e un sorriso che conquista. So è uno studente e da 5 mesi fa la guida agli stupa, con la sua blusa, i suoi larghi pantaloni neri e una specie di asciugamano arancione avvolto attorno alla testa. Lo carichiamo a Taunggyi, capitale dello Stato Shan. Il nostro autista all’improvviso ferma l’auto per farci entrare in un ufficio del turismo: il motivo è che per accedere all’area di Kakku è necessaria una guida della tribù Pah-o. La zona infatti conserva una certa autonomia e ci spiegano che, per una questione di appartenenza e di superstizione, gli stranieri non possono entrare se non accompagnati da uno di loro.
Fino ai primi anni ‘90 l’accesso della zona ai turisti era vietato. Il motivo? Kakku si trova ai margini tra il territorio sotto controllo statale e la cosiddetta terra di nessuno, un territorio ribelle con forte autonomia e minoranze etniche, da sempre coinvolto nei traffici legati al Triangolo d‘Oro. Anche se l’impressione oggi è di una situazione tranquilla e di una zona accessibile senza pericoli.
La strada per Kakku, sempre più sconnessa, è un primo assaggio di quanto sia difficile muoversi in Myanmar. Alla velocità massima di 50 km/orari, attraversiamo campi ordinati e arati ancora con i buoi, campi di aglio, appezzamenti di sesamo e di green pepper, un peperoncino non troppo piccante alla base della cucina Shan. Da Taunggyi un’altra oretta di curve, di colline basse e si arriva ad un grande bosco di alberi secolari, dai tronchi immensi ed aggrovigliati come corde. Si vedono le radici e i rami estesi in orizzontale degli alberi che li avevano avvolti, fino a quando l’uomo non li ha liberati dalla morsa della giungla . E poi inizia la meraviglia del complesso templare di Kakku. Un quadrato quasi perfetto, con un lato di diverse centinaia di metri, su cui sorgono 2478 stupa di ogni forma e dimensione, in file approssimative, che sembrano le vie dello spirito di una città immaginaria, a partire dallo zedi dorato centrale.
Uno spazio che sembra uscito da qualche fiaba fantasy, eppure è realtà. Entro in un mondo solitario salendo un paio di gradini a piedi, rigorosamente nudi come in tutte le aree sacre del paese, e appena lasciato il decumano principale, mi perdo nella selva di guglie che superano la mia altezza di parecchi metri. E’ un labirinto gigantesco in cui continui ad aggirarti, senza il minimo desiderio di ritrovare l’uscita. Il bello è proprio ammirare forme, sculture, bassorilievi che nei secoli hanno dato forma a questo luogo e farci raccontare da So della sua etnia, discesa dal grande amore tra una donna-drago e un medico-stregone.
Un giardino di stupa costruiti dal XVI secolo, con stili e ad epoche diverse. Le più antiche mostrano tutta la patina del tempo, hanno i mattoni erosi e sbrecciati a dimostrare l’inevitabile usura del tempo, altre sono più recenti, appena ridipinte o restaurate da una generosità religiosa che è continua e proviene da ogni parte del mondo buddhista. Così si alternano biancore, pitture dorate, sfumature di rosa e muffa nera, che l’umidità del monsone riporta ad ogni stagione. In un mix di pietra locale, marmi, metallo e curve dolci dello stile birmano.
Mentre credi che solo il silenzio lì sarà capace di stupirti, accade qualcos’altro. Arriva un refolo di vento, leggero, di colpo tutte le migliaia di campanelle appese agli ombrelli di metallo in cima agli stupa, cominciano un tintinnio che riempie fisicamente l’aria. Li ascolti ed è una pace senza fine. Siamo arrivati purtroppo tardi (ma forse c’è un perchè), cala la sera, i colori caldi tendono ormai al viola e poi l’oscurità, i profili scuri dei mille stupa intimoriscono un pò, la luna piena sopra la testa indica la direzione e di fronte lo spettacolo di una Kakku illuminata solo dalla notte, che mette i brividi. E’ suggestione, è come essere lontanissimo da tutto e da tutti per un attimo, al cospetto di una devozione antica.
Peccato che anche qui abbiano negli ultimi anni iniziato le attivita’ di restauro “alla birmana”: stanno costruendo tra gli stupa dei sentieri coperti da piastrelle, piu’ adatte a un bagno pubblico che a un sito archeologico come questo, e alcuni stupa sono già stati ricoperti da uno spesso e liscio strato di stucco che li fa apparire decisamente troppo nuovi. Affrettatevi a visitare il posto, non tanto per il rischio che aumentino i turisti, quanto per il rischio che lo restaurino troppo.
Alla fine della giornata So ringrazia noi per aver visitato la sua terra – pensa te! – quando saremmo noi che non finiremmo più di ringraziarlo per la sua disponibilità e gioia.
Consigli utili per visitare gli stupa di Kakku
- Posizione: Kakku si trova 52 km a sud di Taunggyi, a 1300 metri sopra il livello del mare.
- Necessario: auto privata o, visto il traffico e la strada, meglio ancora il taxi e guida Pa O.
- Tempi: circa 1 ora da Inle Lake a Taunggyi, sosta breve a Taunggyi al PNO (Pa-O National Organisation) per pagare l’ingresso e far salire la guida, poi un’ora abbondante da Taunggyi a Kakku.
- Costi: l’ingresso al territorio Pa O ($ 3 a persona) e la guida ($ 5).
- Percorso: piuttosto lungo ma è piacevole, la strada infatti, per buona parte asfaltata, attraversa piccoli villaggi e campi coltivati, diventando rossa terra battuta solo verso la fine.
- Momento migliore: visto che l’escursione richieste una mezza giornata se si vuole vedere il solo sito archeologico e il momento migliore per godersi il sito è il tramonto verso le 17.00, il mio consiglio è di partire all’ora di pranzo, considerate 3 ore di trasferimento per stare larghi ed essere verso le 15-16 sul posto. Se invece volere approfittarne per visitare anche i villaggi Pa-ho della zona, attività tradizionali e mercati… dovrete considerate una giornata intera di viaggio.
video credit: YouTube Aneta Tulicka-Sypołowska
Articolo bellissimo, foto davvero suggestive. Per la mia preparazione al viaggio in Myanmar non potevo capitare meglio. Grazie!
grazie mille Marco, ho scritto parecchio sul Myanmar perché è un viaggio che “ho sentito”, mi fa piacere questo tuo riscontro.