Bolivia: visitare il cimitero dei treni a Uyuni

Bolivia: visitare il cimitero dei treni a Uyuni

Il fascino dei luoghi abbandonati non si spiega facilmente: sarà la geometria sbriciolata del tempo che scorre, perfetta nella sua imperfezione, sarà quel misto di oblio, decadenza e sospensione, saranno i ruderi e gli scheletri di quel che è stato, intrisi di storia e della loro vita passata. Di certo sono la prova che l’unica cosa permanente al mondo è il cambiamento. Polvere, ruggine e crepe, trasformazioni sotto le quali si celano le storie delle persone che lì vivevano. E’ inevitabile immaginarsi le loro vite, perché se ne siano andati via, documentarsi e pensare a come quel luogo poteva essere ieri, confrontarlo con cosa è rimasto oggi. Solleticano l’immaginazione. Palazzi abbandonati. Fabbriche o siti industrali in disuso. Ospedali e manicomi. Paesi fantasma. Vecchi hotel e parchi divertimento. Chiese sconsacrate. Ciascuno con le proprie storie dietro e un inesorabile ritorno alla natura, la quale sembrava stesse solo aspettando il momento per riappropriarsi  di quanto le apparteneva. Questi luoghi possono avere oggi una seconda vita, magari solo come meta turistica curiosa per la loro unicità, magari con un progetto di riutilizzo complessivo. A Uyuni parliamo del primo caso. “Anche il declino è una forma di voluttà… L’autunno è altrettanto sensuale che la primavera. C’è tanta grandezza nel morire come nel procreare.” Iwan Goll Il cimitero dei treni di Uyuni in Bolivia A Uyuni le linee ferroviare britanniche arrivarono nel XIX secolo, Uyuni era uno snodo ferroviario fondamentale della Bolivia, al confine con il Cile e vicino alle miniere boliviane di Potosì. Qui nel 1899 venne inaugurata la prima linea ferroviaria del paese che collegava Uyuni ad Antofagasta, i treni partivano carichi...
Dintorni di La Paz: visitare il Cerro Chacaltaya e la Valle della Luna

Dintorni di La Paz: visitare il Cerro Chacaltaya e la Valle della Luna

Preparatevi a una vera giornata “frullatore”, ma a La Paz troverete molte agenzie che propongono nell’arco della stessa giornata, per chi ha un tempo limitato e bisogno di ottimizzarlo per vederne i dintorni, due escursioni ai poli opposti della città: da una parte l’altissimo Cerro Chacaltaya e dall’altra le profondità bizzarre della Valle della Luna. Ovviamente per farlo, viste le strade improbabili che dovrete affrontare in alta montagna e le distanze notevoli in mezzo al traffico di una metropoli da 2 milioni di abitanti, è sconsigliatissimo il fai da te. Se volete farlo rispettando i tempi e uscendone vivi, affidatevi ai boliviani. Due mete diversissime e vi spiego i motivi per cui mi sono piaciute entrambe: Visitare il Cerro Chacaltaya A soli 30 chilometri a nord della capitale boliviana e a 5394 metri d’altitudine, il monte Chacaltaya ha un nome molto appropriato, significa “cammino freddo” in lingua aymara. E quando sali e inizi a sentire i venti glaciali che soffiano, ne comprendi il perchè! Ma il vero bello è arrivarci lassù, perchè la strada che porta a Chacaltaya è asfaltata solamente fino al quartiere di El Alto…e poi? Poi vi troverete in balia di qualche vecchio autobus dondolante su un sentiero sempre più ripido e sempre più accidentato, a doppio senso e in molti punti a strapiombo senza protezioni sul fianco della montagna. Avere le quattro ruote motrici è indispensabile in molti punti e nei passaggi più stretti trovarsi un altro autobus o fuoristrada nel senso opposto diventa un gioco al centimetro. La centrifuga dura un’oretta (davvero intensa) e si viene ripagati dello sforzo non appena davanti agli occhi si apre la splendida vista su tutto l’altipiano, il Cerro...
Bolivia: i mercati imperdibili di La Paz, El Alto e El Mercado de Hechicerìa

Bolivia: i mercati imperdibili di La Paz, El Alto e El Mercado de Hechicerìa

La Paz, o meglio Nuestra Señora de La Paz, è un colpo d’occhio sconfinato, una megalopoli dai 3.600 ai 4100 mt, un cono rovesciato con il centro storico nell’abisso della vallata e tutt’intorno i picchi innevati delle Ande e l’inconfondibile Nevado Illimani che raggiunge i 6.462 mt. Una città a pelle dall’animo brusco e dal cuore misterioso, ancora legato a tradizioni antiche e a usanze ancestrali. Descrivere la Paz, se come me l’avete vista di passaggio o per pochi giorni è una pretesa senza senso, viste le sue dimensioni e i suoi infiniti contrasti, quindi ho pensato di raccontarne in questo post solo due suoi highlights, che ogni viaggiatore in terra boliviana non dovrebbe perdersi. Di fronte a questo “mare” di casupole, baracche, grattacieli, cantieri stradali, città satelliti, traffico disordinato, botteghe e viuzze dimenticate, saliscendi improbabili, ragnatele di cavi elettrici ovunque, spiccano i volti e i costumi della gente, che qui veste ancora i costumi tradizionali. Dicono la Bolivia sia il posto più autentico del Sud America, e la cosa più bella che si possa fare è curiosare nei mercati all’aperto. Preparatevi a inerpicarvi per salite che, a queste altitudini, tolgono il fiato e scoprire vie, piazze e interi quartieri dove si vende di tutto. Le venditrici sono le cholitas, donne indigene vestite con abiti tradizionali, voluminose gonne coloratissime, le polleras, e la tipica bombetta nera inclinata se single, diritta se sposate. Tutte molto in carne, coperte di strati di maglie e scialli di lana, con l’ahuayo sulla schiena, una fascia a strisce coloratissime per trasportare di tutto, cibo, piante, merce o bimbi. E le immancabili trecce corvine decorate con un...
Il caso delle Isole Uros: belle da vedere, senza credere alle favole

Il caso delle Isole Uros: belle da vedere, senza credere alle favole

Oggi apro il sipario sulle Isole Uros – in teoria uno degli highlights del Perù – anzi mi piace chiamarlo “il caso delle Isole Uros” sul Lago Titicaca. Per me questo blog di viaggi è sempre stato un canale dove la realtà, vista dagli occhi di una semplice viaggiatrice, deve emergere ed essere raccontata agli altri com’è in tutte le sue sfaccettature, positive e negative, senza fronzoli o filtri indoranti. E sicuramente le isole galleggianti del popolo Uros, 97 isole su cui vivono circa 520 famiglie, sono un caso interessante. E’ un pò l’isola che non c’è, anzi l’arcipelago che non c’è… eppure è reale, si può visitare, conoscerne gli abitanti, ma il giorno dopo potrebbe non essere più lì. In fondo è il prodigio costruito dalle popolazioni Uros con fascine di totora (un tipo di canna che cresce nella zona) per proteggersi nei secoli passati dai nemici, tra cui i bellicosi Incas, e ad uso e consumo dei turisti nei tempi odierni. La tecnica di costruzione Per chi non fosse pratico di totora e dintorni, serve un cappello introduttivo: le isole Uros sono costruite secondo un’antica tecnica tramandata da generazione in generazione. La parte che ne costituisce le fondamenta è la raiz (radici e piante lacustri). Una volta costituita la piattaforma, si crea il pavimento, formato con una serie di strati di totora, una pianta lunga e molto sottile, simile al bambù, che cresce sul lago usata come materiale di riempimento. Su questo stato di canne lasciate asciugare, loro costruiscono le capanne per vivere. L’isola, simile a una zattera, sarebbe in balia delle correnti se non fose agganciata con corde...
Lago Titicaca: isole di Taquile e Amantanì, turismo comunitario, falò di munja e doccia di stelle

Lago Titicaca: isole di Taquile e Amantanì, turismo comunitario, falò di munja e doccia di stelle

Finalmente il lago Titicaca, 8000 chilometri quadrati di acque profonde, a quasi 4000 metri sul livello del mare dove il vento non dà tregua, il sole brucia la pelle senza che tu te ne accorga e le rive sono coperte di totora. Superata la baia di Puno da dove partono tutti i barconi, si spalanca uno specchio blu intenso e sullo sfondo l’imponenza della Cordigliera Real, già in territorio boliviano. Arrivare qui sul lago navigabile più alto del mondo ha davvero un sapore leggendario per chi ama viaggiare. Lui, il Titicaca, se ne sta placido in un mondo rovesciato: il mare d’acqua dolce riflette il cielo e le nuvole bianche ci corrono sopra, gareggiando in velocità con le imbarcazioni. Sono 34 le sue isole, grandi e piccole, abitate dall’ etnia quequa e da quel che resta degli aymara. La natura è padrona da queste parti, ma cosa qualifica il Titicaca agli occhi del viaggiatore è l’elemento umano , altrove segnato dall’industria del turismo di massa. In due ore di navigazione lenta si raggiunge l’isola di Taquile, poi altre tre ore, a seconda di come tirano il vento e la corrente, l’isola di Amantanì. Il capitano della barca ti assegna a una famiglia, i contadini locali ospitano nelle loro comunità rurali i visitatori, si può alloggiare nelle loro case adattandosi ai ritmi del sole, sveglia presto e buio nel tardo pomeriggio, a un letto senza riscaldamento e un piatto di papas con formaggio di capra e infuso di munja selvatica. Condividere il tempo con gli abitanti delle isole, percorrere su e giù i sentieri lastricati tra i cespugli di kantuta, il fiore rosa simbolo dell’isola,...
Sillustani: la necropoli pre-incaica e la laguna Umayo

Sillustani: la necropoli pre-incaica e la laguna Umayo

Perù è archeologia: per gli amanti di archeologia e cemetery safari la necropoli di Sillustani è una tappa doc. Per me è stata un vero colpo di fulmine, costruzioni dalla suggestione magica e dai risvolti esoterici, e all’improvviso un flashback: da una parte i cerchi di pietra e i megaliti di Stonehenge, tutt’intorno il paesaggio sconfinato e fotogenico del Lake Powell tra Arizona e Utah, con i suoi colori incredibili. Il tutto traslato in Sudamerica e nella cultura Inca. Qui mancano le rocce rosse ma il grigio della pietra, il giallo della steppa e i turchesi impressionanti della laguna Umayo mi hanno conquistato subito. E quando parti così, si va solo in crescendo. Ma andiamo con ordine. Il nome racchiude il primo indizio: deriva dalle parole sillus (unghia) e llustani (scivolo). Il riferimento probabile è all’unione dei blocchi (chullpas) di pietra delle sue torri funerarie, che non consente il passaggio nemmeno di un’unghia. Sillustani è un complesso archeologico a 4000 mt e a 40 minuti di auto (33 km) da Puno, la natura quassù si spoglia, gli altopiani sono quasi disabitati e brulli, lungo la strada non si immagina nulla. Si intravede sul posto un’altura ed è proprio lì in cima che inizia lo spettacolo. Una serie di tombe-torri, ufficialmente oggi sono 13, costruite in cima alle colline nei punti più panoramici e appartenenti alla cultura Kolla (1000-1450 d.C.), che si sviluppò nella parte settentrionale del lago. Era una tribù guerriera di lingua aymará che in seguito divenne il braccio armato degli incas e usava seppellire i nobili nelle torri funerarie disseminate sulla sommità delle alture di questa penisola. Chullpas: le spiegazioni...

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